Quest'America
di Anna Guaita

 Il Pentagono: capre toscane contro i talebani

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Lunedì 1 Dicembre 2014, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 08:14
 
Capre contro i talebani. Non è una battuta: dopo aver speso per la ricostruzione dell’Afghanistan più di quanto spesero per aiutare l’Europa a rimettersi in piedi dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli americani stanno tentando un ennesimo esperimento che dovrebbe dare ai pastori e ai contadini afghani la solidità economica che li affrancherà dal dominio dei talebani.

Ci sono poche cose al mondo facili da produrre e tanto richieste quanto il papavero da oppio. Una di queste è il cashmere. Facile da ottenere, ovviamente, se si hanno le capre giuste, se si sa come allevarle in modo sano, come accoppiarle per massimizzarne la produzione, come “pettinarle”, come raccogliere e lavorare il sottovello. E tutto ciò gli afghani lo sanno fare poco e male. Con guerre continue e povertà endemica, è stato più facile obbedire ai talebani e coltivare il papavero. Anche per quest’anno l’Onu conferma che da solo l’Afghanistan ha prodotto l’80 per cento del papavero che serve da base per la produzione di eroina. Il ricavato sfiora i mille milioni di dollari, e va nelle tasche dei funzionari corrotti, dei talebani, dei narcotrafficanti: solo una piccola cifra finisce ai contadini che lo coltivano. E pensare che il 95 per cento dei 7 milioni di capre di questo Paese è cashmere. Il guaio è che solo il 35 per cento viene "pettinato", e comunque si tratta di un vello scuro, e quindi meno pregiato. Il cashmere che i grandi creatori di moda chiedono e pagano salatissimo deve essere chiaro e facilmente colorabile.

Ecco dunque il progetto del Pentagono: cercare animali da cashmere facilmente importabili in Afghanistan, di un tipo sanissimo e forte, con un pelo il più possibile chiaro. E usarli per modificare il cashmere locale e renderlo un prodotto di lusso. Il compito è stato affidato alla Facoltà di Scienze Agricole della Colorado University. E dopo ricerche approfondite, l’Università ha scelto i capi di un allevamento di Radda in Chianti, in Toscana. La proprietaria è la veterinaria Nora Kravis, originaria di New York, toscana d’azione oramai da quasi 40 anni. Le sue capre sono tutte di un bel colore pallido, adatto a essere tinto in tutti colori dell’arcobaleno, e sono giudicate le migliori capre da cashmere in Europa (la dr.ssa Kravis si meriterebbe da sola un blog, o un articolo, ma se siete curiosi, trovate tutto sul suo allevamento qui ).

Ecco dunque Nora Kravis salire su un aereo militare con 9 animali del suo allevamento (dovevano essere dieci, ma all’ultimo uno si è infortunato). Dopo un viaggio lunghissimo e scomodissimo, tutto a fianco del suo morbido gregge, Kravis è arrivata a Herat, e qui ha lavorato per un anno al progetto pilota. La primavera scorsa sono nati i primi 120 capretti, sani e debitamente pallidi. All’Università del Colorado, che ha preso in mano l’esperimento dopo che la dottoressa Kravis è tornata in Toscana, pensano però che ci vorranno almeno cinque anni prima che le capre discendenti dagli esemplari toscani avranno davvero infiltrato gli allevamenti afghani. E’ bene tenere a mente i numeri: 9 capre importate, il cui patrimonio genetico deve sostituire quello dei circa 7 milioni di capi già esistenti sul terrirorio.

E comunque gli ostacoli sono tantissimi. La dottoressa Kravis ricorda che l’arte dell’allevamento in Afghanistan è al medioevo, con malattie endemiche – come la brucellosi – e una diffusa ignoranza dei più elementari accorgimenti della zootecnia. E’ dunque giustificato il timore che una volta che gli americani si ritireranno dal Paese, l’esperimento possa andare all’aria.

Molto dipende dal nuovo presidente, Ashran Ghani, che ha preso il posto di Hamid Karzai. Il neo-presidente, che si è insediato a settembre, è un nemico della corruzione e si è impegnato a “traghettare l’economia afghana dall’illecito al lecito”. Il progetto di trasformare il Paese da produttore di oppio a produttore di cashmere gli piace molto e lo sostiene, nella convinzione che il passaggio andrà a favore dei contadini, mentre strozzerà la filiera della corruzione.

E’ vero anche che dal 2001 a oggi molti dei sogni nati in Afghanistan si sono sgretolati nel nulla, nella burocrazia, nell’ignoranza, nella disonestà. Ma intanto ci sono quei 120 capretti che stanno crescendo bene, e che potrebbero essere davvero il primo passo di una rivoluzione pacifica.


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