Quest'America
di Anna Guaita

 Dopo il Vino tocca all'Olio? La California e il futuro dell'EVOO

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Mercoledì 1 Ottobre 2014, 18:41
  Ricordo bene quando trovare dell’olio extravergine qui negli Stati Uniti era un’impresa difficilissima. Infatti me ne portavo una bottiglia da Firenze (memorie di un’altra stagione, quando nessuno ti fermava se salivi in aereo con una bottiglia di olio o di vino). Studentessa squattrinata, lo centellinavo. E se lo finivo e proprio dovevo comprarlo, cercavo in qualche alimentari ispanico quelle boccettine economiche marca Goya, da un quarto di litro. Come sono cambiati i tempi: anche nei più sperduti e dimenticati supermercati di provincia è ora possibile trovare dell’olio decente. O, come oramai molto dicono qui, dell’ “evoo” (Extra Virgin Olive Oil) , dall’abbreviazione che tanti chef del Food Network usano per brevità. Per ora, il più venduto, il più ricercato olio d’oliva rimane quello italiano. Ma ho la sensazione che ci avviciniamo a un cambiamento storico. Come è successo con il vino, potremmo assistere in tempi abbastanza brevi anche a una rivoluzione nella produzione dell’olio. Solo una trentina d’anni fa, dire “vino californiano” causava risatine ironiche. E ora si vende caro, e alcune marche sono apprezzatissime (e spesso hanno dietro la mano di esperti produttori italiani). Beh, stiamo attenti: la California e il Texas vorrebbero riprodurre nel settore oleario quel che hanno fatto in enologia. Il Texas, che da un secolo e mezzo basa le sue ricchezze su un altro “oil”, l’oro nero, il petrolio, ha cominciato a piantare dappertutto oliveti, nella speranza di allargare la propria produzione a un nuovo “oil”, l’“oro dorato” che viene dalle olive. Per ora nello Stato della Stella Solitaria sono solo i piccoli agricoltori a cimentarsi con gli oliveti. Ma varie grosse fattorie hanno comprato (dall’Italia) le presse per fare olio, pronte a soddisfare una piccola qualificata distribuzione locale. Ed è bene ricordare che in soli due anni gli ettari di terreno texano coltivati a oliveti sono raddoppiati. Ma è la California, forte dell’esperienza della rivoluzione vinicola delle valli Napa e Sonoma, che sta affilando i coltelli: gli agricoltori vorrebbero combattere contro la schiacciante importazione di olio europeo adottando una classificazione e certificazione di purezza e qualità del prodotto locale. La stessa amministrazione statale si incaricherebbe di fare i controlli del caso sull’olio prodotto in California, e gli attribuirebbe il marchio di garanzia. Tutto ciò può risolversi in un nulla. Dopotutto il Texas tentò di mettersi a produrre olive e olio già negli anni Trenta, e finì in un perfetto fallimento. Per incidere davvero sul mercato nazionale bisognerebbe che ne venisse prodotto ben di più. Il consumo di olio d’oliva negli Usa è triplicato dal 1990 a oggi. E se è vero che nello stesso periodo la produzione locale è raddoppiata, essa rappresenta ancora solo il 2 per cento dell’olio consumato nel Paese. Ad aprire nuove possibili porte all’olio made in Usa c’è però il fatto che negli Stati Uniti ha preso piede un lento ma deciso cambiamento culturale, proprio ispirato da noi italiani: il concetto di cibo “fresco e locale” va penetrando nelle famiglie, man mano che si riscoprono i mercati locali e i prodotti freschi, e si rifiutano prodotti di massa e poco controllati. Ho visto con i miei occhi madri di famiglia riporre del pesce surgelato nei frigo di eleganti supermercati dopo aver letto sull’etichetta che era stato pescato in Cina, Paese sulla cui sicurezza alimentare sono stati scritti allarmanti articoli. E purtroppo anche il nostro olio è stato oggetto di numerosi scandali e contraffazioni, attentamente rivelati dal giornalista Tom Mueller, nel best seller “Extra Virginity”. Il libro è uscito anche in Italia, ed è diventato un indispensabile punto di riferimento per chi voglia capire la storia e il futuro di questo antico prodotto delle nostre terre, che Mueller stesso ama e definisce “fiore all’occhiello, simbolo di purezza e dell’Italia di eccellenza”. Accanto all’olio puro, con estrema amarezza, Mueller denuncia però il cancro della sofisticazione, l’esistenza di “un grasso liquido, anonimo, senz’anima, morto”. E se ancora il grande pubblico americano non è a conoscenza di questa realtà parallela, e tantomeno sarebbe capace di distinguere un olio di ottima qualità da un olio tagliato con olio di palma, magari colorato di un bel verde “naturale” con la clorofilla, è bene ricordare che comunque coloro che comprano l’evoo sono proprio coloro che cercano di informarsi, di nutrirsi e spendere “bene”. Davanti a un olio italiano o spagnolo, che non abbia sufficienti garanzie di purezza e freschezza, potete scommetterci che pian pianino finiranno per preferire l’olio californiano. Potrei sbagliarmi. E per i bene dei nostri agricoltori, spero di sbagliarmi. Ma, per tornare all’incipit: ricordo ancora quando tutti gli amici a Firenze mi presero in giro quando portai una bottiglia di vino californiano. Era il 1989.
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