Quest'America
di Anna Guaita

 Alzheimer: potrà Hollywood aiutare come fece 20 anni fa con l'Aids?

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Mercoledì 14 Gennaio 2015, 22:49
  Nel 1993, Tom Hanks fece per la lotta contro l’Aids quel che nessuno era riuscito a ottenere fino ad allora: che se ne parlasse senza bisbigliare, apertamente, che si cominciasse convivere con l’Aids senza ipocrisia e senza paura. Riuscirà Julianne Moore a fare lo stesso ora con l’Alzheimer? Riuscirà il film “Perdersi” a ottenere risultati simili a quelli che 21 anni fa ottenne “Philadelphia”? In “Perdersi”, Julianne Moore interpreta il personaggio di una nota linguista che si accorge di soffrire di una forma precoce di Alzheimer, la malattia che ruba all’uomo le memorie, i sentimenti, il carattere. Milioni di persone sperano che Julianne diventi la tromba della riscossa. E che questa malattia ottenga finalmente l’attenzione e i finanziamenti che – horribile dictu – è lungi dal ricevere. Un numero crescente di americani (ma la crisi colpisce tutti i Paesi) si ammala di questo morbo micidiale, e le previsioni sono di una crescita continua e inarrestabile. Altre malattie registrano passi avanti: il numero di persone guarite dal cancro e dalle malattie di cuore cresce continuamente, le persone sieropositive che possono vivere vite quasi normali sono oramai la stragrande maggioranza dei contagiati. Ma dall’Alzheimer non si esce, non si guarisce. Allo stato attuale, negli Stati Uniti ci sono finanziamenti federali di 5 miliardi e mezzo di dollari per la ricerca contro il cancro, tre miliardi contro l’Aids, un miliardo e mezzo per le malattie cardiache. Per la ricerca contro l’Alzheimer sono stati stanziati 566 milioni. E tuttavia le spese per la malattia, se non vogliamo calcolarne il devastante costo umano, arrivano oltre i 214 miliardi annui, di cui 150 sborsati dalle assicurazioni federali Medicare e Medicaid. Assicurazione che comunque copre solo una minima parte dei bisogni, tant’è che circa la metà delle famiglie in cui un parente è affetto da questa malattia deve spendere di tasca propria almeno 20 mila dollari all’anno in aiuti per la cura della persona malata. Ricordate quando non si diceva che una persona aveva il cancro, ma si diceva “una brutta malattia”? Ricordate quando nessuno neanche osava dire “sieropositivo” senza un brivido di paura? Ebbene, in pieno ventunesimo secolo, con i Baby Boomers che invecchiano a decine di milioni, il numero di malati di Alzheimer supera i 5 milioni ed entro 20 anni sarà raddoppiato, e tuttavia pochi ne fanno il nome apertamente. C’è un marchio negativo, uno stigma, associato con la malattia, come se chi ne è affetto fosse da nascondere, un imbarazzo. La rivista dell’associazione dei pensionati americani (AARP Bulletin) ha voluto strappare questo velo e ha pubblicato in copertina i volti di vip, celebrità e attori uccisi dal morbo. Leader politici come Ronald Reagan e Margaret Thatcher, attori come Charlton Heston e Jimmy Stewart, cantanti come Perry Como ed Etta James, artisti come Willem De Kooning e Iris Murdoch: nomi conosciuti, volti amati. A questi si aggiunge oggi il volto del personaggio immaginario interpretato da Julianne Moore. E forse lei, perché ha dietro Hollywood, sfonderà la porta e spingerà l’Alzheimer più in alto nella lista delle priorità dei politici. Non ci crederete, ma una mano gli viene da un improbabile attivista: Seth Rogen. Il 32enne attore famoso per i suoi film comico-demenziali (l’ultimo è “The Interview”, quello che ha causato le proteste della Corea del nord, perché vi si immaginano due giovani americani assoldati dalla Cia per uccidere il dittatore Kim Jong-un) è diventato la voce della lotta all’Alzheimer. Davanti al Senato, l’anno scorso Rogen ha denunciato: “Gli americani bisbigliano appena la parola Alzheimer, perché il loro governo la bisbiglia. Dobbiamo invece gridarla ad alta voce, strillarla, fino a che non ottenga l’attenzione e finanziamenti di cui ha bisogno”.
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