NFT e gaming, a Firenze e Düsseldorf due mostre celebrano l'arte digitale

NFT e gaming, a Firenze e Düsseldorf due mostre celebrano l'arte digitale
di Angela Maria Piga
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 18 Maggio 2022, 10:41 - Ultimo aggiornamento: 19 Maggio, 08:47

Era il 2010 quando l’artista Miltos Manetas inaugurò alla Biennale di Venezia il primo Padiglione Internet presentando al pubblico il movimento da lui creato, la Neen Art, siti internet, che interagivano con il fruitore, in vendita come vere opere d’arte.

La sfida era stata lanciata, e dimostrò che la tecnologia non significa assenza di poetica o persino di ironia, non dunque un mezzo di comunicazione passivo ma capace di ispirare ed operare sugli stessi contenuti delle opere d’arte. Dodici anni dopo, con l’avvento del metaverso e dell’NFT, per cui si acquista qualcosa che non è tangibile, un passo ulteriore è stato fatto e l’arte come sempre è profeta di un mondo che verrà o forse no.

APPUNTAMENTI

 Due grandi mostre aprono quasi in contemporanea sul tema. La prima “Let’s Get Digital!” si è aperta a Palazzo Strozzi a Firenze, a cura del direttore Arturo Galansino e di Serena Tabacchi, direttrice del MoCDA, Museo d’arte digitale contemporanea. In mostra installazioni digitali ed esperienze multimediali create da artisti che operano nell’ambito della Crypto Art, una modalità conseguente all’avvento degli NFT, opere ufficialmente certificate presenti solo virtualmente che stanno riformando il concetto stesso di proprietà e di pezzo unico nel mondo dell’arte e della moda. Esposti opere di artisti di punta a metà strada fra scienza, design e arte quali Anyma, Daniel Arsham, Beeple, Krista Kim, Andrés Reisinger e Refik Anadol che suggeriscono nuove vie per quel mondo dell’ubiquità a cui la tecnologia digitale ci sta trasformando. Basti evocare il film “Lei” di Spike Jonze del 2013 in cui il protagonista (Joaquin Phoenix) trova più umanità nella creatura digitale che nel mondo reale. La seconda grande mostra sul tema è “Worldbuilding. Gaming and Art in the Digital Age” e si inaugura il 5 giugno alla Fondazione Julia Stoschek di Düsseldorf in occasione dei 15 anni dalla nascita della Fondazione, dal 2016 con sede anche a Berlino.

La Fondazione è fra le collezioni maggiori al mondo di video arte dagli anni ‘60 a oggi e di time-based art, una definizione interessante che qualifica tutte quelle opere basate sullo svolgimento temporale della fruizione, come audio, video, diapositive e tecnologie di computer.

IL TEMPO

Interessante contraddizione, poiché da una parte il digitale impone al nostro vivere ubiquità e simultaneità, dall’altra l’esito artistico di questa rivoluzione viene definita invece proprio in base al tempo, perduto come quello di Proust. Curatore della mostra, che durerà un anno e mezzo, lo svizzero Hans Ulrich Obrist, direttore artistico delle Serpentine Galleries di Londra. La mostra indaga sulla relazione fra videogioco e, appunto, la time-based media art e su come gli artisti hanno usato e si sono ispirati al videogioco per trasformalo in una forma artistica. Così Obrist: «Nel 2021 2.8 bilioni di persone – circa un terzo della popolazione mondiale – giocava ai videogiochi, trasformando un passatempo di nicchia nel più grande fenomeno di massa dei nostri tempi. I videogiochi stanno al XXI secolo come il cinema al XX e i romanzi al XIX». L’estetica dei videogiochi ha plasmato non solo il cinema e il nostro modo di percepire noi stessi, ma anche la pratica artistica. Decenni fa molti artisti hanno infatti iniziato ad integrare, modificare e sovvertire il linguaggio del videogioco per aprire fronti nel mondo virtuale inerenti al nostro esistere. La Fondazione Stoschek presenta oltre trenta opere fra video, realtà virtuali, IA e opere basate sul gioco, dagli anni ‘90 a oggi, con lavori interattivi di pionieri quali Peggy Ahwesh (con Tomb Raider), Cory Arcangel (con Super Mario) e Sturtevant (con Pacman), che hanno modificato videogiochi esistenti e più giovani, come The Institute of Queer Ecology, Gabriel Massan o Lawrence Lek, fino a coloro che si sono immersi nel metaverso come LaTurbo Avedon che è al contempo un avatar e un artista anonimo. Interessante leggere nelle biografie come accanto al nome dell’artista sia scritto (egli/lui) o (essa/lei), a ribadire l’ufficialità dell’identità virtuale.

IL METAVERSO

Resta la questione del collezionismo. Il metaverso lo metterà in crisi? Julia Stoschek ha le idee chiare: «Collezionare è insito negli esseri umani dalle origini della loro storia. Gli NFT non hanno fatto altro che spostare la proprietà nel regno digitale. Non saranno i videogiochi a metter fino al collezionismo». Sarà interessante dunque vedere quali opere d’arte irromperanno negli spazi dei collezionisti nel metaverso, chissà che il tempo perduto non torni proprio per mezzo dei nuovi spazi virtuali. 

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