Aceto balsamico italiano sotto attacco dalla Slovenia, il consorzio Igp: «I prodotti di Lubiana sono tarocchi e ingannevoli». Come riconoscerlo

Aceto balsamico italiano sotto attacco dalla Slovenia, il consorzio Igp: «I prodotti di Lubiana sono tarocchi e ingannevoli». Come riconoscerlo
di Carlo Ottaviano
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Domenica 3 Luglio 2022, 10:42 - Ultimo aggiornamento: 11 Luglio, 08:51

ROMA Primo compleanno per Balzamini Kis che, a scanso d'equivoco, sulla stessa etichetta precisa: Aceto balsamico di Frama. Messo in commercio lo scorso luglio, è uno dei tanti presunti balsamici sloveni che stanno conquistando i consumatori europei, allontanandoli dal prodotto e dalla qualità made in Italy.

«Tarocchi e ingannevoli», li definisce la presidente del Consorzio aceto balsamico di Modena Mariangela Grosoli.
Del balsamico italiano tradizionale Dop di Modena e Reggio Emilia o Igp - non hanno però la valenza nutrizionale-sanitaria e neanche lontanamente quella sensoriale degustativa. Il governo di Lubiana, non tenendo conto delle normative europee, ha stabilito che qualsiasi miscela di aceto di vino con mosto concentrato si potrà chiamare, e vendere, come aceto balsamico. Una concorrenza estremamente sleale per un settore che in Italia ha tradizioni millenarie tutelate da due marchi Dop e uno Igp e che vale non meno di 1,3 miliardi di euro l'anno. La filiera italiana coinvolge 265 trasformatori, 180 cantine e produttori di mosto e migliaia di viticoltori che coltivano le sette varietà di uve necessarie per produrre il balsamico. È al primo posto per percentuali di export (92% del totale prodotto, di cui il 50% in Europa) tra tutte le Dop e Igp e al quarto per valore economico (alle spalle di Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma).


LA NORMA
Finora non c'è stato modo di stoppare l'aggressività slovena, da quando nella primavera dello scorso anno Lubiana ha notificato alla Commissione europea una norma nazionale sugli aceti in contrasto con gli standard comunitari e con il principio di armonizzazione del diritto europeo. L'Italia ha mosso tutti i passi necessari, non ricevendo però alcuna risposta positiva da Bruxelles. Inutili anche le prese di posizione di tutti i partiti nessuno escluso e del ministro all'Agricoltura Stefano Patuanelli. A questo punto non resta che avviare formalmente la procedura di infrazione nei confronti della Slovenia a tutela degli interessi non della sola Italia ma della stessa Unione europea e delle norme che ne regolano il funzionamento.


La pratica è già stata istruita e è ora alla firma di Mario Draghi.

I produttori lamentano qualche lentezza di troppo (non sarebbe stata rispettata la scadenza, seppure non vincolante, del 3 marzo). «Comprendiamo pienamente - hanno scritto al premier la presidente di Federvini Micaela Pallini e del Consorzio di Modena Mariangela Grosoli - come gli sforzi suoi e del Governo siano focalizzati sulla risoluzione delle emergenze e sull'attuazione del Pnrr; tuttavia, riteniamo che la presa in carico di questa questione sarebbe un segnale di grande attenzione a un comparto significativamente rappresentativo del made in Italy in un'ottica concreta di sistema-Paese».


Federvini e Consorzio temono che «eludendo il sistema comunitario di tutela dei prodotti Dop e Igp, le conseguenze con ingenti danni economici investirebbero tutti i prodotti a denominazione protetta». Chiunque sarebbe libero di definire con un aggettivo il proprio prodotto, prescindendo dalla storicità, dalla effettiva coerenza della parola con le specificità del cibo o della bevanda, dall'uso che altri con pieno diritto ne fanno da tempo. La minaccia del cavallo di Troia la vede anche Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita. «Ritengo necessario afferma - che qualsiasi escamotage nazionale che vada ad incidere sul diritto europeo delle Indicazioni Geografiche debba essere vietato dalla normativa. Se la Commissione europea continuerà a tenere un approccio incerto come quello sull'aceto balsamico sloveno, il sistema delle Dop e Igp rischierà di perdere valore e credibilità anche a livello internazionale. Il mio auspicio è quello di sanare queste ambiguità attraverso la nuova riforma con un articolato ben chiaro. Solo così i nostri consorzi di tutela e le imprese della filiera potranno avere una vera chance sul mercato».

Una lettura a maglie larghe dell'uso dei nomi e il mancato rispetto delle denominazioni esistenti, mette a rischio 17 miliardi di euro e 180 mila posti di lavoro in Italia dove i consorzi di tutela riconosciuti sono 285. A livello europeo il valore è di circa 74,7 miliardi di euro.
 

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