Tamponi rapidi, il no dei medici di base di Teramo: «E' pericoloso senza protezioni»

Tamponi rapidi, il no dei medici di base di Teramo: «E' pericoloso senza protezioni»
di Maurizio Di Biagio
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Giovedì 29 Ottobre 2020, 08:43

Tamponi rapidi? «No, grazie». Questa è la risposta indignata dei medici di base di Teramo invitati a fare gli esami (quelli rapidi nasali) ai propri assistiti in maniera obbligatoria. Non verrebbe fatto in sicurezza, senza mezzi idonei e sarebbe una coercizione calata dall’alto: mancherebbe anche il percorso sporco-pulito, con problemi annessi di sanificazione. «Chi fa le proposte per la Asl non sa come funziona la medicina di base» asseriscono in coro.
Lo Snami (Sindacato nazionale autonomo medici italiani) si è opposto a tale procedura e non ha firmato l’accordo a livello nazionale «perché - sostiene il suo segretario provinciale, Nicola Grimaldi - non abbiamo nessuna garanzia di sicurezza per effettuare tale esame: come camici monouso, FFP2, guanti, visiera, copricapo, assistenza alla vestizione e svestizione».

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La Regione Abruzzo ha bloccato il portale del Medico (Iasi) se, prima, non si effettua la scelta di adesione o non adesione. «A noi sembra un atto coercitivo che non ha eguali; nessun tampone si può eseguire se non nella massima sicurezza» ribadisce Grimaldi. «I medici di famiglia hanno sempre espresso solidarietà ai colleghi ospedalieri e ai malati, ma dobbiamo essere trattati tutti allo stesso modo». E per sicurezza i medici teramani intendono che i tamponi naso-faringei si facciano in una sede facilmente sanificabile alla fine della giornata e non all’interno di condomini; con le opportune protezioni; senza la contemporanea presenza di altri pazienti e senza la necessità di dover rispondere al telefono (per ovvia impossibilità tecnica, essendo bardati). Inoltre i medici di famiglia dovranno pure selezionare i pazienti a rischio, da mettere in malattia, da coloro che possono continuare a lavorare, selezionare gli studenti da coloro che non possono rientrare a scuola, selezionare i pazienti da far visitare dall’Usca da quelli che devono visitare loro stessi, verificare i pazienti che devono avere i presidi antidiabetici da quelli che non ne hanno diritto; verificare le terapie antipertensive: un compito improbo.

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«È una vergogna – tuona Michele Di Paolantonio, segretario provinciale Fimmg – e al contempo un pericolo per gli utenti, qui c’è una totale sottovalutazione del rischio e per questo sta montando un’indignazione generale della categoria nei confronti del sindacato che ha accettato l’obbligatorietà: ci sono tanti medici fragili e anziani tra noi e questo potrebbe rappresentare un grave problema». Gli spazi dove si dovrebbe operare, gli studi medici, sono angusti e limitati e all’interno dei condomini «dove si potrebbe infettare qualcuno, qui si rischia un’esplosione epidemica, soprattutto quando mancano i Dpci: inoltre a rischio è l’espletamento del nostro lavoro. La situazione è drammatica, siamo di fronte al fallimento dell’organizzazione della sanità pubblica, causata alla radice da tagli forsennati in questi anni: la conseguenza che non si riesce a tracciare più nessuno».

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