La sentenza è arrivata ieri alla vigilia dell’8 marzo, per una storia che proprio l’8 marzo, di quattro anni fa, ha avuto il suo epilogo: quando la donna, ottantaduenne, picchiata e malmenata, con diverse escoriazioni in volto, decise di dire basta. Dopo sessanta anni circa di maltrattamenti. Le nozze di diamante, probabilmente, non sono state per lei motivo di festa, perché stando alle accuse della Procura di Sulmona, il marito, Speranza Santilli, oggi novantenne, l’avrebbe vessata per tutta la vita. «Una serie di atti lesivi dell’integrità fisica e morale, della libertà e del decoro – recita il capo d’imputazione – consistita in continue minacce, atti di disprezzo, offesa alla propria dignità, nonché violenze fisiche poste nei confronti della moglie, costringendola a volte ad abbandonare la propria abitazione e farsi ospitare dalla propria figlia».
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Ieri la giudice del tribunale di Sulmona Francesca Pinacchio ha emesso la sentenza: tre anni di reclusione e il riconoscimento dei danni alla parte civile, rappresentata dall’avvocata Maria Alba Cucchiella, da quantificare in separata sede, ma con una provvisionale di 10mila euro. La storia si è consumata a Castelvecchio Subequo, dove la coppia risiede e dove per una vita, stando all’accusa, l’uomo avrebbe trattato la moglie come una pezza da piedi: esempio di quel patriarcato autoritario e padrone che l’uomo non avrebbe avuto pudore di mostrare più volte anche davanti ai figli.
Un incubo iniziato con quel “sì” detto sull’altare nel 1960 e dopo il quale la donna sarebbe stata trattata come un oggetto, più che come l’amata e madre dei suoi figli. Persino dopo la sua malattia, il marito avrebbe continuato a vessarla e picchiarla, fino a quell’8 marzo del 2019, quando l’anziana, stanca e ferita, si decise a chiamare i carabinieri. Quando i militari dell’Arma entrarono nell’appartamento, la trovarono con il viso sanguinante e in lacrime. Scattò così l’immediato allontanamento e l’avvio dell’inchiesta che portò, dopo l’ascolto di diversi testimoni, la procura di Sulmona a chiedere ed ottenere per l’uomo il rinvio a giudizio e il processo.
Ieri, per lui, difeso dall’avvocato Alessandro Margiotta, è arrivata la condanna: una pena simbolica, data anche l’età dell’imputato, che però ha un valore anche e soprattutto culturale.