L’Aquila, un aquilano in prima linea a Milano contro il coronavirus

L’Aquila, un aquilano in prima linea a Milano contro il coronavirus
di Daniela Rosone
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Sabato 14 Marzo 2020, 16:42
L’AQUILA - Tra qualche giorno sarà il compleanno della mamma che con il resto della famiglia vive all’Aquila. Ma lui non ci sarà e non c’è alternativa al telefono.

Federico D’Orazio è uno dei tanti aquilani in trincea, medico radiologo all’ospedale Humanitas di Rozzano. Vive a Milano, in pieno centro. Ormai è lì da due anni. Un corridoio e qualche porta, racconta, è quello che li divide dai casi di coronavirus. Ma i radiologi all’arrivo vedono i polmoni dei pazienti, le loro tac, memorizzano i nomi, fanno pure il tifo per loro e ogni giorno controllano le cartelle cliniche elettroniche per vedere se ci sono novità positive.

La storia che più lo ha colpito è quella della prima signora vista arrivare due settimane fa nel suo ospedale durante un turno di guardia, una signora che lotta nonostante l’età e l’esordio della malattia in salita. Federico lavora anche in pronto soccorso. “Non ci rassegnamo - racconta - a questa nuova normalità. Negli studi siamo massimo in 2-3, distanziati di un paio di metri, con mascherina tutto il tempo, disinfettiamo tastiere, mouse, mani, facciamo le riunioni multidisciplinari via Skype pur essendo tutti nello stesso grande ospedale. La processione dei parenti che portano il cambio biancheria al punto di ritiro è un qualcosa di straziante, immaginare di avere un proprio caro ricoverato e non potergli essere vicino per la sua e vostra salvaguardia, sembra quasi inconcepibile. Insostenibile il pensiero di quanto durerà”.

Un ospedale in cui, ricorda Federico, si sta facendo un grandissimo sforzo collegiale, nonostante si sia pure affermato che non c’erano posti letto per i casi di Covid-19. L’analogia con il terremoto è molto forte. Del resto Federico è aquilano e quel periodo lo conosce bene.

”Questa è la sciagura complementare - aggiunge - di lunga durata, stillicidio quotidiano contro la strage improvvisa di una notte. Apparentemente tutto in piedi e fruibile, ma nessuno che ne possa fruire. Il vuoto e il silenzio di Milano si avvicinano molto al silenzio e al deserto che ho visto realizzarsi ogni pomeriggio a L’Aquila quando i lavoratori pendolari finito l’orario di lavoro tornavano sulla costa. Diversamente, in questo caso, spostarsi non basta a rientrare nella normalità, è coinvolta tutta la nazione e stavolta sarà più semplice essere compresi da tutti, perché stavolta siamo tutti sulla stessa barca, e davvero questo aiuta. Di sicuro ne usciremo insieme e allora sarà tutto pronto per ricominciare come prima, senza dover passare per una ricostruzione che duri oltre un decennio, non è poco. Penso a questo e per questo vado avanti”.

Per Federico in questo momento l’isolamento forzato è l’unica strada per combattere il virus, adottando comportamenti responsabili ma non abbassando la guardia subito dopo magari la cinghia verrà riallentata. “Forse è più difficile convincere gli anziani a restare a casa, a rinunciare alla passeggiata anche se può non sembrare così. Loro ne hanno passate tante, la guerra per esempio”. A Milano c’è una comunità nutrita di aquilani. “Colleghi e non - dice - con i quali sono in contatto. Ci sentiamo soltanto ora chiaramente, siamo tutti sigillati in casa e si esce solo per lavoro. Milano non è più quella che tutti conoscevano. Ma anche prima delle chiusure totali, la gente in giro era diminuita tantissimo”.
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