Alpini feriti, torna il contingente. Il colonnello Bozzi: «La nostra missione ha reso il Kosovo più sicuro»

Parla il comandante del Rc-W di Kfor dopo sei mesi di mandato nel Balcani

Il colonnello Mario Bozzi, comandante del Nono Reggimento Alpini e comandante del RC-W di Kfor
di Sonia Paglia
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Martedì 25 Luglio 2023, 11:54

I militari del Nono reggimento Alpini dell’Aquila, tra qualche giorno lasciano il Kosovo, e rientrano in Patria, dopo essere stati al comando del Regional Command West (RC-W) con il motto “Shaping The Presence for a better Future”. Durante la missione, hanno operato secondo il mandato della risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, garantendo sicurezza, stabilità e libertà di movimento, per tutte le comunità del Kosovo.  Alcuni militari abruzzesi, sono rimasti feriti  nei gravi scontri tra truppe Nato e dimostranti serbi a Zvecan, nel nord del Kosovo. Il colonnello Mario Bozzi, comandante del Nono reggimento Alpini e comandante del RC-W di Kfor, racconta la sua esperienza.  

In sei mesi di missione, quali sono state le attività più significative poste in essere nell'ambito della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu?

«I militari italiani del Nono reggimento Alpini, della Brigata Taurinense, come previsto dal mandato della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, operano per garantire la sicurezza, la stabilità e la libertà di movimento in tutto il Kosovo occidentale, settore operativo di competenza del Regional Command – West (RC-W) di KFOR. Queste attività si sviluppano attraverso una serie di pattugliamenti diurni e notturni, svolti dal contingente multinazionale, in tutte le 15 municipalità che insistono nella nostra area di responsabilità. Sul terreno sono inoltre schierati dei Liaison Monitoring Teams (Lmt), dei veri e propri nuclei di collegamento, composti da personale altamente specializzato a interagire con la popolazione locale, al fine di captare necessità ed esigenze delle comunità locali. Inoltre in questi 6 mesi abbiamo anche contribuito a supportare con le nostre unità gli altri comandi Kfor, soprattutto in occasione di eventi che hanno richiesto una maggiore concentrazione di forze».

Il momento  di maggiore tensione durante il periodo di permanenza in Kosovo. Oltre agli scontri a Zvecan, fra truppe Nato e dimostranti serbi, ci sono stati altri episodi? 

 «Senza dubbio il 29 maggio scorso ha rappresentato il momento di maggiore tensione del semestre.

In quell’occasione i militari italiani erano distaccati sotto il comando statunitense, responsabile dell’area operativa dove insistono i 4 comuni a maggioranza serba, tra cui il comune di Zvecan. Questo, con il preciso compito di rinforzare la sicurezza in seguito dell’insediamento dei sindaci neo eletti. Senza la presenza degli alpini del Nono reggimento, inseriti nel dispositivo di protezione, che si sono interposti tra i manifestanti serbi e la polizia kosovara l’esito sarebbe stato di gran lunga più grave, con gravissime conseguenze per tutti i partecipanti. Successivamente alle violenze, sono seguite settimane di proteste, fortunatamente pacifiche, al di fuori degli edifici comunali, dove grazie al continuo dialogo tra i militari di Kfor e i cittadini della comunità serba, siamo riusciti ad allentare la tensione evitando nuovi scontri». 

Come stanno i militari abruzzesi rimasti feriti? Hanno riportato lesioni fisiche permanenti? E a livello psicologico?

«Gli alpini abruzzesi feriti sono tutti in pieno recupero, e anche coloro con una prognosi più complessa e articolata sono sulla strada della totale guarigione. Tutti i militari colpiti, in seguito delle prime cure effettuate presso le strutture sanitarie di Kfor, sono poi rientrati in Italia, dove sono seguiti sia dal punto di vista medico che psicologico dalla sanità militare. Tutti gli alpini del reparto hanno continuato ad assolvere alle proprie mansioni con altissimo senso di responsabilità e con profondo spirito di corpo».

 Come sono stati i rapporti con le forze di sicurezza e la polizia kosovara? 

«I rapporti con la Polizia e le Forze di Sicurezza Kosovara (KSF - Kosovo Secutiry Force) sono sempre stati orientati alla massima collaborazione, con il comune obiettivo di incrementare il livello di sicurezza nell’area. Lo dimostrano le innumerevoli attività congiunte effettuate quotidianamente sul territorio. Sono convinto che questa sinergia continuerà anche in futuro, per rendere il Kosovo sempre più sicuro e perfettamente integrato nella realtà europea e garantire a tutte le comunità una convivenza pacifica».

Il Nono Reggimento Alpini  L'Aquila è stato diverse volte in Kosovo. La  sua percezione,  a distanza di tempo dall’ultima volta, c'è stata una evoluzione in meglio? Un miglioramento delle condizioni di stabilizzazione?

«Molto è stato fatto dalla Nato insieme al supporto della comunità Internazionale, questo è chiaramente visibile in tutto il territorio. Il miglioramento negli anni è stato netto e tangibile tanto da consentire la riduzione della presenza di Kfor dalle 50.000 unità alle attuali 4.500, ma è necessario essere sempre attenti a eventuali e pericolose recrudescenze violente, a discapito della stabilità del Paese. In ogni caso le forze di Kfor, addestrate ed equipaggiate per fronteggiare ogni tipologia di scenario, continuano a operare quotidianamente per mantenere un ambiente sicuro e protetto in favore di tutte le comunità, come sancito dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite».

Come si pone la popolazione kosovara rispetto alla presenza ininterrotta di militari stranieri in suolo kosovaro? E rispetto ai militari italiani? 

«I rapporti tra la popolazione locale e i militari di Kfor sono da sempre eccellenti. Questo è il frutto della più che ventennale presenza che ormai lega gli uomini e le donne della missione alla popolazione locale. In particolare noi militari italiani, come ho avuto modo di constatare anche in altri teatri operativi totalmente diversi da quello kosovaro, riusciamo a instaurare in maniera ancora più marcata quelle condizioni di fiducia necessarie per poter meglio operare a garanzia della sicurezza. Siamo, infatti, in grado di dialogare con la popolazione albanese e con la comunità serba allo stesso modo, guadagnando il rispetto da entrambe le parti, confermando così il ruolo di pacificatore e mediatore del nostro Paese».

Nella sua area di operazioni ha avuto a che fare con autorità politiche locali serbo-kosovare? Sono stati rapporti collaborativi? Cosa chiedevano?

«All’interno della nostra area di responsabilità insistono diversi villaggi a maggioranza serba, inoltre, il Regional Command – West è direttamente responsabile della sicurezza del Monastero di Decane, importante sito religioso della Chiesa ortodossa serba, nonché patrimonio mondiale dell’umanità dell'Unesco. Il dialogo sviluppato in questi sei mesi, con i rappresentanti della società civile e religiosa appartenenti alla comunità serba è stato sempre ottimale. A conferma di ciò, all’indomani delle violenze di Zvecan e quindi in un momento particolarmente sensibile per tutta la regione, siamo riusciti a riunire in una tavola rotonda sindaci e rappresentanti di diverse etnie: serbi, albanesi, turchi, bosgniacchi e gorani insieme in un dialogo aperto e un confronto proattivo, dove si sono toccate tematiche inerenti la pace, la sicurezza e il futuro delle nuove generazioni».

 Adesso avrete un periodo di riposo. Sapete già quali impegni vi aspetteranno al rientro?

«Le attività continueranno anche al nostro rientro in Patria. Il Nono Reggimento Alpini in questi mesi, oltre all’impegno in Kosovo, contribuisce a garantire, attraverso l’impiego del proprio personale, la sicurezza sul territorio nazionale nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”, nelle principali città italiane tra cui Roma, Milano e Torino».

Conflitto in Ucraina, secondo lei c’è stata qualche ripercussione sulle operazioni in Kosovo? Potrebbe minare in qualche modo la stabilità dei Balcani?

«Penso che il conflitto in Ucraina abbia influenzato lo scenario mondiale, i Balcani non ne sono esenti».

Può raccontarci qualche episodio particolare che ha catturato la sua  attenzione? Un dettaglio, sia positivo che negativo, un volto, un oggetto, un comportamento.  E quali parole descriverebbero meglio questa missione?   

«Durante una donazione di materiale informatico a una scuola elementare albanese, all’interno della municipalità serba di Strpce, situata nella parte meridionale del Kosovo e caratterizzata da una situazione infrastrutturale particolarmente degradata, sono stato particolarmente colpito nel vedere la gioia negli occhi di quei bambini nel ricevere il materiale didattico appena donato. Sono loro il futuro di questa terra da tutelare a ogni costo. Per questo motivo è stato scelto “Shaping The Presence for a better Future” come motto della Missione».

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