I tarocchi e la città dei Papi, 637 anni di storia. Un’artista li riscrive in chiave viterbese

I tarocchi e la città dei Papi, 637 anni di storia. Un’artista li riscrive in chiave viterbese
di Massimo Chiaravalli
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Sabato 23 Aprile 2016, 19:37
Si fa presto a dire tarocchi. Perché le carte per predire il futuro sono apparse in Italia per la prima 637 anni fa. Arrivarono a Viterbo nel 1379, secondo quanto riportano gli annali. E così si intrecciano il sacro e il profano, la città dei Papi e le carte. Proprio qui dove tutto è iniziato, un’artista locale ha rivisitato i 22 arcani maggiori in chiave viterbese, intrecciandone di nuovo la storia con un filo ancora più stretto e in una girandola di citazioni che toccano papi, santi, miracoli, luoghi e perfino la Divina Commedia.

“I tarocchi di Viterbo e della Tuscia” è un’opera in ceramica che racconta secoli di storia. Si tratta di 22 tavole dipinte sulla pietra tipica di Viterbo, il peperino, smaltata con ossidi puri diluiti con acqua sulfurea del Bullicame, la fonte citata nell’opera di Dante Alighieri. Fino all’8 maggio sarà esposta a Viterbo, alla mostra concorso di artigianato artistico “Forme e colori della terra di Tuscia”, organizzata dalla Cna. L’artista Cinzia Chiulli ha studiato gli annali della città, scoprendo che la prima in Italia in cui sono entrati i tarocchi è proprio quella dei Papi. Lo storico Juzzo de Coveluzzo infatti scrive: «Anno 1379 fu recato in Viterbo el gioco delli carti, che venne de Saracinia, e chiamasi tra loro naib». Ancora sacro e profano: potrebbero essere stati i soldati che tornavano dalle crociate a introdurli.

«L’iconografia di ogni singola carta – spiega l’artista - è stata rispettata per non alterarne la simbologia. La sfida è stata quella di inserire personaggi e situazioni che hanno fatto la storia di Viterbo e della Tuscia, che calzassero perfettamente con il significato secolare che appartiene ad ogni arcano maggiore». E così la papessa diventa Donna Olimpia Pamphili, il cui cognato era appunto papa. E l’imperatrice non poteva che essere Santa Rosa, la patrona della città, che le rende omaggio ogni 3 settembre con il suggestivo Trasporto della Macchina, alta 30 metri. Il papa? Alessandro IV, uno di quelli del periodo viterbese: è stato lui a dare a far traslare il corpo di Rosa da una chiesa all’altra, creando di fatto il primo Trasporto. E ancora oggi i Facchini – gli oltre cento uomini che portano a spalla la struttura per le vie della città – hanno richiami evidenti nella loro divisa: il bianco della purezza sacerdotale e il rosso cardinalizio nella fascia intorno alla vita.

E ancora il diavolo, abbinato all’acqua sulfurea del Bullicame. Il sommo poeta, arrivato in occasione del Giubileo nel 1300, volle ricordarlo nel canto XII dell’inferno, alludendo a un avvenimento della storia viterbese: l’uccisione di Enrico di Cornovaglia. Gli altri accostamenti sono la luna con le streghe di Montecchio, infine il matto con il Frisigello, figura di abile giullare. Medievale come la città.
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