La Dia: «Il Viterbese è contrassegnato dall’operatività di gruppi criminali mafiosi»

Dia
di Maria Letizia Riganelli
3 Minuti di Lettura
Giovedì 23 Settembre 2021, 06:25 - Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 12:38

«Un territorio contrassegnato dall’operatività di gruppi criminali attivi nel narcotraffico, nell’usura e nei reati contro il patrimonio in genere». La fotografia che scatta la Dia, Divisione investigativa antimafia, del Viterbese nel secondo semestre del 2020, non è una diapositiva statica. Ma in movimento. Perché in movimento è la criminalità organizzata che ormai l’attraversa. Dal clan dei Giampà a quello notano dei Russo. Senza dimenticare i Casamonica e i Vadalà. Nomi di famiglie mafiose che nella Tuscia hanno messo a frutto i guadagni illeciti, spesso in aziende sane. 

Viterbo e la mafia, il procuratore nazionale Cafiero De Raho: «Non tutti hanno fatto il proprio dovere»


«L’area ha evidenziato negli ultimi anni - si legge nel secondo rapporto della Dia - significative presenze mafiose soprattutto calabresi (in connessione anche con albanesi) e campane dedite prevalentemente a traffici di stupefacenti. Significativi in proposito gli esiti giudiziari dell’inchiesta “Erostrato” della Dda di Roma che ha accertato la costituzione a Viterbo di un’associazione di tipo mafioso capeggiata da un soggetto contiguo ai lametini Giampà ma trapiantato nella Tuscia da diversi anni e da un noto narcotrafficante albanese».

Il sodalizio - come ormai accertato anche dal secondo grado di giudizio - mirava al controllo di attività economiche, in particolare locali notturni, ditte di traslochi ed i compro-oro, nonché al traffico di stupefacenti, al recupero crediti e alle estorsioni. «La provincia - spiega ancora la Dia - non è quindi più immune dall’infiltrazione della criminalità organizzata che è alla continua ricerca di nuovi spazi non solo per le tipiche attività criminali ma anche per iniziative imprenditoriali apparentemente legali.

Ne sono conferma le misure interdittive emesse dal prefetto di Viterbo nel semestre che hanno riguardato due aziende con profili di contiguità proprio con la cosca Giampà e il clan nolano Russo».

Aziende dall’apparenza legali ma che nella compagine hanno il seme della malavita, che ricicla denaro dalla provenienza illecita propria in attività sane. «Ne è esempio - si legge ancora nella relazione semestrale - l’applicazione di una misura di prevenzione personale e patrimoniale, ad opera della polizia di Stato e della Guardia di finanza di Viterbo nei confronti di un imprenditore romano residente nel viterbese e in contatto con esponenti della ‘ndrina Vadalà e dei Casamonica.

Il provvedimento emesso dal Tribunale di Roma ha riguardato beni per un valore complessivo di circa 3 milioni di euro. All’imprenditore è stata anche applicata la misura della sorveglianza speciale». L’imprenditore legato ai due clan era residente a Monterosi ed è stato privato di tutti i bene perché ritenuti proventi di mafia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA