Regione, mossa di Zingaretti per partire. Un assessorato per il Viterbese

La sede della giunta regionale del Lazio
di Simone Canettieri
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Lunedì 19 Marzo 2018, 11:04 - Ultimo aggiornamento: 18:22

La giunta Zingaretti dipenderà dalle scelte di Forza Italia (e del centrodestra in generale), ma anche dal M5S. Sembra un paradosso ma è così: il governatore prima di far partire il bis deve trovare un accordo politico con le opposizioni per gli assetti del consiglio regionale dove, come si sa, non ha la maggioranza (gli manca un voto). Nel migliore dei mondi possibili l'obiettivo sarebbe questo: chiudere con le minoranze sulla presidenza all'uscente Daniele Leodori, offrire in cambio «a chi ci sta» la guida di alcune commissioni. Quelle ordinarie sono 8, ma ne possono spuntare altre 4 speciali. Le uniche «intoccabili» - quindi fuori dalla trattativa - sono Bilancio e Sanità, le leve della macchina amministrativa. Tutte le altre sono sul tavolo.

I NUMERI
L'equilibrio è molto complicato. Perché le opposizioni uscite fuori dalle elezioni sono tre, ma solo sulla carta. I loro capitani sono: Stefano Parisi, Roberta Lombardi e Sergio Pirozzi. Ma il leader del centrodestra espressione di Energie per l'Italia, a sua volta, deve fare i conti con i gruppi di Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e Noi per l'Italia. Dunque in totale siamo a sette pattuglie che non è detto si muovano in maniera compatta. Ora, tolto Pirozzi che dice di non volere trattare e anzi rilancia sulle dimissioni in blocco con la spinta di Matteo Salvini, rimangono gli altri. Questa settimana la delegazione Pd (composta dal trio Leodori-Buschini- Valeriani) inizierà gli incontri informali. Lo scopo: blindare Leodori come presidente e cedere qualche commissione. Alle consultazioni sarà presente anche Zingaretti. Già da qui si capiranno molte cose. Le minoranze, se volessero, potrebbero fare di tutto e di più: far cadere il presidente con dimissioni e sfiducia e più semplicemente eleggere un presidente del consiglio che non sia espressione del centrosinistra.

In caso contrario, decisi dunque gli «assetti dell'Aula», si potrà partire con la squadra. E alcuni consiglieri eletti potranno anche dimettersi per entrare in giunta, come nel caso di Massimiliano Valeriani che così «ripescherebbe» Michele Civita, capolista Pd alle elezioni e primo dei non eletti. I nomi che girano sono molti. «Nicola ha delle pressioni enormi in questo momento», confessa chi lo conosce bene. Lo schema da cui è pronto a partire prevede due uscenti: il vice Massimiliano Smeriglio, Alessandra Sartore (lady Bilancio). E poi ci sono i due nuovi: Gian Paolo Manzella e Alessio D'Amato, commissario della cabina di regia sulla sanità, che dovrebbe entrare in squadra proprio con questa delega.

LE PROVINCE
Per il resto, la situazione è «fluida», commentano dal Pd. Di sicuro i territori del Lazio dovranno essere rappresentati in giunta. Esempio: se l'eletto nella Tuscia, Enrico Panunzi, non dovesse dimettersi, come infatti non ha intenzione di fare, potrebbe indicare un uomo (o una donna) di fiducia da far entrare nell'esecutivo. E così Latina, Frosinone e Rieti. Dalla Ciociaria potrebbe ritornare Francesco De Angelis (già nella giunta Marrazzo). Altro tema, gli equilibri interni al Pd: i Turchi spingono per l'ex parlamentare Pina Maturani, l'area gentiloniana per Lorenza Bonaccorsi. Per Leu, già frazionato in Sinistra italiana e Mdp, spunta il nome di Paolo Cento. Il governatore come sempre in questi casi avrà anche il tema dell'equilibrio di genere: cherchez la femme, insomma. La strada non è delle più semplici.

Regna la consapevolezza che, come si lascia sfuggire un autorevolissimo zingarettiano, «già è tanto se duriamo due anni». Anche perché, tra le ambizioni del presidente e il quadro politico nazionale, mai come questa volta i destini della Regione e del Parlamento appaiono sovrapposti e legati tra loro. Simul stabunt, simul cadent.
 

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