Papa Francesco 'riabilita' Blaise Pascal dall'eresia giansenista, lui può condurre alla felicità i cristiani contemporanei

Papa Francesco 'riabilita' Blaise Pascal dall'eresia giansenista, lui può condurre alla felicità i cristiani contemporanei
di Franca Giansoldati
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Lunedì 19 Giugno 2023, 11:26 - Ultimo aggiornamento: 11:32

Papa Francesco rende omaggio a Blaise Pascal, una delle menti più brillanti dell’Età dei Lumi, e nel quarto centenario della sua nascita lo riabilita dalle ombre di giansenismo che lo hanno sempre perseguitato, indicandolo oggi come faro per i cristiani contemporanei che sono alla ricerca «della vera felicità». In una lunga lettera apostolica dedicata al geniale pensatore francese, il Papa riporta alcune delle più famose frasi pascaliane: «Tutti gli uomini cercano di essere felici. Non ci sono eccezioni, per quanto diversi possano essere i mezzi impiegati. Tutti mirano a questo fine». Così quattro secoli dopo la sua nascita, Pascal rimane per noi «il compagno di strada che accompagna la nostra ricerca della vera felicità e, secondo il dono della fede, il nostro riconoscimento umile e gioioso del Signore morto e risorto». 

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Blaise Pascal sosteneva che è tutto molto ragionevole, quindi anche l'esistenza di Dio. E Se Dio esiste davvero, è più sicuro scommettere di crederci che di non crederci. « Il cuore ha ragioni che la mente non conosce», affermava.

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Nato il 19 giugno 1623, a Clermont, nella Francia centrale fin da bambino e «per tutta la vita egli ha cercato la verità». Con la ragione ne ha rintracciato i segni, specialmente nei campi della matematica, della geometria, della fisica e della filosofia. Ha fatto precocemente scoperte straordinarie, tanto da raggiungere una fama notevole. Ebbe idee geniali, per esempio inventò la prima rete di trasporti pubblici della storia, le cosiddette “Carrozze a cinque sols”.

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Si convertì a Cristo, a partire dalla “Notte di fuoco”, un momento mistico descritto in tanti scritti personali datati 1654. «Se i medici dicono il vero, e Dio permette che mi rialzi da questa malattia, sono deciso a non avere alcun altro impiego né altra occupazione per tutto il resto della mia vita che il servizio ai poveri». Papa Francesco nella lettera annota anche quanto sia commovente constatare che, negli ultimi giorni della sua vita, un pensatore così geniale non vedesse altra urgenza al di sopra di quella di mettere le sue energie nelle opere di misericordia: «L’unico oggetto della Scrittura è la carità».

Pascal, secondo Francesco, ci premunisce così contro le false dottrine, le superstizioni o il libertinaggio, che tengono tanti di noi lontani dalla pace e dalla gioia durature di Colui che vuole che scegliamo «la vita e il bene» e non «la morte e il male». 

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Esiste una sproporzione insopportabile, annota ancora il Papa, «tra, da una parte, la nostra volontà infinita di essere felici e di conoscere la verità e, dall’altra, la nostra ragione limitata e la nostra debolezza fisica, che conduce alla morte.

Perché la forza di Pascal è anche nel suo implacabile realismo: «Non occorre un’anima molto elevata per capire che in questo mondo non esistono soddisfazioni autentiche e stabili, che tutti i nostri piaceri non sono altro che vanità e i nostri mali sono infiniti, e che infine la morte, che ci minaccia ad ogni istante, deve immancabilmente metterci entro pochi anni nell’orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici. Nulla è più reale né più terribile di questo. Facciamo pure gli spavaldi quanto vogliamo: ecco la fine che attende la vita più bella del mondo».

Per questo Pascal rileva che, se c’è un Dio e se l’uomo ha ricevuto una rivelazione divina – come diverse religioni affermano – e se tale rivelazione è veritiera, là deve trovarsi la risposta che l’uomo attende per risolvere le contraddizioni che lo tormentano: «Le grandezze e le miserie dell’uomo sono così palesi che necessariamente occorre che la vera religione ci insegni che c’è nell’uomo qualche grande principio di grandezza, e che c’è un grande principio di miseria. Inoltre, occorre che essa ci spieghi questi stupefacenti contrasti»

Naturalmente il Papa nel documento evoca i rapporti di Pascal con il Giansenismo raccontando la genesi di questo percorso. "Una delle sue sorelle, Jacqueline, era entrata nella vita religiosa a Port-Royal, in una congregazione la cui teologia era molto influenzata da Cornelius Jansen (...). La disputa verteva principalmente sulla questione della grazia di Dio e sui rapporti tra la grazia e la natura umana, in particolare il suo libero arbitrio. Pascal, benché non appartenesse alla congregazione di Port-Royal, e benché non fosse un uomo di parte fu incaricato dai Giansenisti di difenderli, soprattutto perché la sua arte retorica era potente. Lo fece nel 1656 e nel 1657, pubblicando una serie di diciotto lettere, denominate Provinciali».

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«Se molte sue proposizioni dette “gianseniste” erano effettivamente contrarie alla fede (...) bisogna comprendere che, come Sant’Agostino aveva voluto combattere nel V secolo i Pelagiani, i quali sostenevano che l’uomo può con le proprie forze e senza la grazia di Dio fare il bene ed essere salvato, Pascal ha creduto sinceramente di opporsi al pelagianesimo o al semi-pelagianesimo che riteneva di identificare nelle dottrine seguite dai Gesuiti molinisti (dal nome del teologo Luis de Molina, morto nel 1600 ma il cui influsso era ancora vivo a metà del XVII secolo). Facciamogli credito sulla franchezza e la sincerità delle sue intenzioni» si legge nel documento papale. 

Che subito dopo aggiunge: «Questa lettera non è certo il luogo per riaprire la questione. Tuttavia, ciò che vi è di giusta messa in guardia nelle posizioni di Pascal vale ancora per il nostro tempo: il neo- pelagianesimo, che vorrebbe far dipendere tutto dallo sforzo umano incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali,si riconosce dal fatto che ci intossica con la presunzione di una salvezza guadagnata con le nostre forze. E occorre ora affermare che l’ultima posizione di Pascal quanto alla grazia, e in particolare al fatto che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità , si enunciava in termini perfettamente cattolici alla fine della sua vita».

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