Papa Francesco riconosce il martirio delle suore polacche che nel 1945 furono stuprate e uccise dai soldati dell'Armata Rossa

Papa Francesco riconosce il martirio delle suore polacche che nel 1945 furono stuprate e uccise dai soldati dell'Armata Rossa
di Franca Giansoldati
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Martedì 19 Marzo 2024, 16:51

La prima a essere violentata ferocemente dai soldati dell'Armata Rossa nel gennaio del 1945 - quando arrivarono a occupare la Prussia Occidentale-  si chiamava madre Christophora, era la superiora delle quattordici suore che Papa Francesco ha riconosciuto martiri in odium fidei. Lo stupro era usato non solo un'arma di guerra ma stavolta anche come strumento per intimidire, ateizzare i territori occupati, nell'obiettivo di annientare la Chiesa Cattolica sui cui si riversò tutto l’odio dei militari sovietici.

La stessa sorte subì suor Leonis che venne poi deportata in Siberia dove morì nel giugno di quell'anno, a soli 32 anni, assieme a suor Mauritia e suor Tiburtia. Suor Sekundina e suor Altegard, invece, furono ritrovate con il corpo a brandelli e una bottiglia nel collo dell'utero. Indossavano ancora l'abito dell'ordine religiuoso di Santa Caterina Vergine. Suor Aniceta resistette come potè e venne colpita subito da un colpo di fucile sparato a bruciapelo morendo dissanguata. Tante sono state sepolte in una fossa comune, per altre, invece, il corpo non è stato ritrovato. Sono però state conservate tutte le testimonianze dell'epoca - precise e terrificanti al tempo stesso - e la memoria è arrivata fino ai giorni nostri.

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L'ordine religioso nato in Polonia per dedicarsi ai malati e ai bambini orfani perse in tutto ben 106 religiose e solo nell'autunno del 1953, a causa della situazione politica di quegli anni segnata dalla Cortina di Ferro e dalla spartizione di Yalta, fu trasferito a Grottaferrata, vicino a Frascati.

Lo sconvolgimento territoriale e politico impedì per decenni di avviare le necessarie ricerche, la raccolta delle testimonianze e dei documenti necessari per avviare la causa di martirio in Vaticano. La lentezza nel riconoscimento di queste martiri va addotta anche alla cappa di silenzio che avvolse queste vittime per via del tema scabroso degli stupri da parte dei soldati sovietici. Tuttavia la maggior parte degli eventi è stata ricostruita in un impressionante e dettagliato resoconto grazie  alla decisione dell'allora Superiora Generale, suor Arkadia Schmalenbac, che nel dopoguerra chiese alle suore sopravvissute e fuoriuscite dalla zona bellica di mettere subito per iscritto le esperienze, i ricordi, le memorie, le testimonianze dirette. 

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«Durante l’uccisione le Serve di Dio indossavano l’abito religioso. Le suore uccise giacevano a terra, i loro veli erano stato strappati dal capo. Erano terribilmente insanguinate. I Russi sapevano di uccidere delle monache. Dicevano “Manaszka” (monaca). Sentii da persone laiche che i primi Russi che vennero nei territori prussiani si accanirono molto contro le monache e l’abito religioso. Dicevano: “Vaticano”» si legge nei documenti conservati e consegnati a Papa Francesco.

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Le quattordici suore martiri scelsero di restare nei conventi e nelle strutture mediche per non fare mancare aiuto ai civili stremati anche se erano perfettamente consapevoli dei rischi che avrebbero corso. La nomea dei soldati dell’Armata Rossa era ben conosciuta. Una parte delle suore di Santa Caterina fece però in tempo a evacuare prima dell’ingresso dell’Armata Rossa, arrivando in Germania, dopo una lunga e drammatica fuga. I militari sovietici presero subito d'assalto il convento e l'ospedale dove prestavano servizio le religiose, dirigendosi poi negli scantinati e nei bunker dove alcune si erano rifugiate assieme ai medici e ai malati. Nessuna città dove lavoravano le suore di Santa Caterina venne risparmiata: Guttstadt, Braunsberg, Danzica, Heilsberg, Rasten-burg, Wormditt, territori oggi polacchi ma dopo l'invasione del 1939 da parte dell'esercito di Hitler furono annessi alla Germania: la Prussia occidentale, Poznań, l’Alta Slesia e l’ex Città libera di Danzica. 

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Il Dicastero dei Santi ha affermato che il martirio è chiaro e formale. «Le suore rimasero fedeli alla propria vocazione accettando il rischio, pur di rimanere accanto agli ammalati, ai bambini e agli orfani. Pur avendo avuto la possibilità di fuggire, come fecero altre religiose anche della stessa Congregazione, rimasero al proprio posto prodigandosi per il bene del prossimo. La fama di martirio è rimasta costante nel tempo, soprattutto nei luoghi in cui si verificarono i fatti e all’interno della Congregazione di appartenenza».

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