Uno dei vaccinati anti-virus: «È l'unica speranza: a gennaio prevista una nuova ondata di contagi»

Marco Trippetti
di Ilaria Bosi
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Lunedì 28 Dicembre 2020, 07:42 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 14:33

PERUGIA Marco Trippetti, 43 anni, oltre a essere vice presidente del consiglio comunale a Spoleto, è medico rianimatore in servizio nel Covid Hospital ed è tra i primi 85 vaccinati di ieri.
Il 27 dicembre 2020 può considerarsi una data storica?
«Si, è l’inizio della fine di una cosa che le nostre generazioni non hanno mai visto né affrontato. Si tratta di una sfida epocale, perché una campagna vaccinale di 3 o 4 miliardi di persone, da fare in pochi mesi, credo sia la più grande battaglia da affrontare insieme».
Un appello a chi è indeciso se vaccinarsi o meno?
«Il vaccino è l’occasione per riavvicinare tutte le persone alla scienza, perché solo nella scienza c’è una risposta nel futuro. Fare e mettere a punto un vaccino di questa portata in soli 9 mesi rappresenta qualcosa di strabiliante. Essere dalla parte della scienza e avere la scienza a servizio della salute, quindi della vita e dell’uomo, è il più grande messaggio per il nuovo anno».
Cosa le sta insegnando e cosa le resterà di questa esperienza in prima linea nella rianimazione Covid?
«Il coinvolgimento emotivo è assolutamente la parte preponderante di questo periodo. Dopo vent’anni di lavoro, a stretto contatto con la sofferenza e la morte (perché questo fa il rianimatore), credevo di essere pronto. Invece ci siamo resi conto che nessuno era pronto ad avere così tanti malati sofferenti e così improvvisamente sofferenti. In altre patologie ti prepari anche a un evento catastrofico come la morte, invece con questa malattia infettiva ti ritrovi in pochi giorni dall’essere completamente in salute ad essere intubato e, purtroppo anche a morire. Questa situazione ci impegna molto dal punto di vista psicologico, perché non si riesce proprio a staccare dal lavoro, neanche quando si esce dall’ospedale. Poi c’è un coinvolgimento scientifico che è in continua evoluzione e questo, da un punto di vista esclusivamente medico e tecnico, è stimolante. Ma lo sforzo professionale è notevole».
Lei è spoletino e lavora nella sua città: i medici possono accorciare le distanze tra ricoverati e famiglie?
«Essendo la nostra una piccola realtà, in cui ci si conosce tutti, mi capita spesso di andare in giro, anche in reparti non miei, per portare un messaggio, un saluto. Mi è capitato anche di portare un regalo di compleanno, che la moglie di un ricoverato mi ha affidato per il marito. L’aspetto emotivo che coinvolge pazienti, costretti a vivere la malattia in solitudine, e familiari, tocca anche noi, che spesso siamo l’unico tramite tra il dentro e il fuori».
I dati sono in rialzo: siete preoccupati?
«Non c’è preoccupazione, soltanto la certezza, data da studi scientifici, che tra il 10 e il 20 gennaio avremo un nuovo un aumento dei casi. Sarà come rivivere i primi di novembre, con un po’ di stanchezza in più».

 

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