Trenta centesimi all'ora e condizioni «degradanti»: per sfruttamento, a processo i vertici di Perugia e Umbertide di una cooperativa sociale

Lavoratori nei campi
di Egle Priolo
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Mercoledì 28 Febbraio 2024, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 12:41

PERUGIA - Trenta centesimi all'ora. Di stipendio. Per raccogliere uva, pomodori e olive o badare ai maiali. È quello che sono arrivati a percepire alcuni lavoratori reclutati da una cooperativa sociale e per cui ora finiscono sotto processo il suo presidente e una consigliera di amministrazione. Originari di Perugia e Umbertide, sono stati rinviati a giudizio ieri dal gup Margherita Amodeo con le accuse di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. In base alle contestazioni avanzate dal pubblico ministero Tullio Cicoria i due avrebbero reclutato «manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso aziende agricole» della provincia di Perugia «in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori». Trentuno i casi di lavoratori riportati nella richiesta di rinvio a giudizio, di cui due costituiti parte civile con l'avvocato Francesco Di Pietro, come chiesto e ottenuto anche dalla Flai Cgil.

In seguito alle indagini svolte dai carabinieri per la tutela del lavoro, il pm Cicoria ha ricostruito «condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni alloggiative degradanti» dei lavoratori reclutati per essere poi impiegati in aziende anche molto note tra Perugia, Città di Castello, Corciano, Monte Castello di Vibio, Magione o Todi, non coinvolte dall'inchiesta. Secondo le accuse, invece, i due (i fatti sarebbero relativi al periodo tra il 2018 e il 2021) «corrispondevano reiteratamente retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali» o «violavano la normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie». A fronte di un contratto che prevedeva una paga oraria di 7,61 euro, in base alle ricostruzioni degli inquirenti, i lavoratori – tutti di origine straniera – percepivano quando andava bene 1,87 euro all'ora, per trasportare casse anche di 30 chili, raccogliere frutta o coltivare ortaggi dalle otto alle undici ore e mezza al giorno, anche per sei giorni a settimana. Racimolando dopo 4 mesi di queste attività anche solo 320 euro in totale: in pratica pochi centesimi all'ora.
Ai due imputati, oltre a violazioni su sicurezza e diritto alla salute, si contestano anche le aggravanti di aver commesso i fatti mediante minaccia, paventando «ritorsioni in caso di contestazione della paga» o nel «non consentire il rilascio del permesso di soggiorno». Permesso che, però, anche grazie all'impegno degli operatori di Borgorete, è stato invece riconosciuto a due dei 31 lavoratori proprio in quanto vittime di sfruttamento lavorativo.
Accuse ovviamente tutte ancora da dimostrare, con le difese – rappresentate dagli avvocati Franco Libori e Matteo Marinacci – pronte a smontarle nel processo che si aprirà davanti al quarto collegio del tribunale penale di Perugia il prossimo 7 giugno.

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