PERUGIA - I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Perugia chiedono di processare 26 persone accusate di aver spacciato cocaina tra il capoluogo umbro, il Tifernate e la zona di Assisi. Due le presunte organizzazioni criminali individuate, ritenute responsabili di aver trafficato droga ordinata mediante «call-center» in Albania e spacciata attraverso pusher ai quali, in Italia, venivano messi a disposizione appartamenti e auto per le consegne. Negli atti dell’Antimafia si leggono i nomi di 22 albanesi, due romeni, un egiziano e un italiano, originario di Torgiano. Un pusher intercettato tra il 2019 e il 2020 parlava di soldi: «È un lavoro pericoloso ma sono riuscito a guadagnarci anche seimila euro al mese».
Stando a quanto ricostruito dall’accusa l’associazione per delinquere ipotizzata dalla Procura importava cocaina in Italia attraverso i corrieri, preoccupandosi di organizzare la rete di cessioni mediante il reclutamento dei pusher dall’Albania. Il gruppo – secondo il pm – «forniva supporto logistico e mezzi di locomozione per raggiungere i luoghi di spaccio». Dalle intercettazioni telefoniche è emerso che una delle parole in codice per chiamare la droga era «bicicletta». Le indagini hanno preso il via in seguito a un arresto avvenuto nel giugno 2019: partono le intercettazioni, si scoprono le ramificazioni e i contatti dall’Albania all’Italia attraverso i «telefonisti». Dodici imputati vengono ritenuti responsabili di essersi «associati tra loro» in due distinte «organizzazioni», con tanto di «promotori e organizzatori», nelle quali venivano portate avanti attività illecite come l’«importazione in Italia, attraverso corrieri, di sostanza stupefacente» da vendere a Perugia e Umbertide attraverso «pusher reclutati». Nel primo caso - si legge nelle carte giudiziarie - veniva garantita la «fornitura di supporto logistico e dei mezzi di locomozione grazie ai quali raggiungere i luoghi deputati allo spaccio», nel secondo più semplicemente il «supporto logistico».
Altri spacciatori venivano ingaggiati dall’Albania mentre, ad un livello un po’ più alto della piramide, c’era chi si occupava di «mantenere i contatti con gli altri membri dell’associazione criminale». I verbali di sommarie informazioni dei tossicodipendenti aiutano a riconoscere gli spacciatori dai book fotografici e a conoscere i prezzi: 70 euro a dose, in media. «Il gruppo ha fornito cocaina a un numero significativo di acquirenti nell’arco di circa due anni utilizzando modalità operative sempre uguali – si legge negli atti giudiziari -. I contatti telefonici con i clienti vengono gestiti da persone che inviano sul luogo degli appuntamenti soggetti sempre nuovi». Uno di questi parla di soldi: «Accenna al fatto che si tratta di un lavoro pericoloso e che in passato aveva guadagnato da quattro a seimila euro al mese». Gli imputati sono difesi dagli avvocati Daniela Paccoi, Guido Rondoni, Barbara Romoli, Gloria Volpi, Vincenzo Bochicchio, Donatella Panzarola, Cristian Giorni, Michele Marzoli e Benito De Simone.