Stefano Fresi, la famiglia di Cetra... una volta, l'amore per Perugia, le lacrime del Morlacchi e quel rocchetto del teatro strappato come premio

I Favete Linguis in Cetra... una volta
di Egle Priolo
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Domenica 31 Dicembre 2023, 08:30 - Ultimo aggiornamento: 18:49

PERUGIA - Un successo a conduzione familiare, tra coppie e fratelli uniti dalla passione per la musica. Un omaggio rivisitato al quartetto che ha fatto la storia del Novecento, reso attuale dalla cronaca e dalle ultime uscite discografiche. Tra leggerezza, satira, gli attacchi a pioggia alla politica, una spallata al politically correct che è una boccata d'ossigeno, in uno spettacolo che si rigenera da decenni e diventa immortale perché sembra scritto ieri. Più il legame con l'Umbria, con Perugia «tempio della musica» e un personaggio amatissimo, in questi giorni il più fotografato della città, nemmeno fosse il sindaco.

Tutto questo (e molto, molto di più) è Cetra... una volta, in scena fino a Capodanno al teatro Morlacchi e il 2 al Ronconi di Gubbio, con la data saltata per il terremoto a Spoleto già fissata al 10 gennaio al Menotti. Un'occasione imperdibile per incontrare l'attore, musicista e compositore Stefano Fresi che sale sul palco con la sorella Emanuela e l'amico di sempre (e pure già cognato) Toni Fornari nel trio Favete Linguis, per lo spettacolo dedicato al Quartetto Cetra. Alla regia, c'è un sorprendente Augusto Fornari, fratello di Toni che lo ha scritto, e in scena con il suo sax c'è una perfetta Cristiana Polegri, che di Fresi è compagna e madre del loro Lorenzo. Abbastanza per far capire come sia possibile la sintonia che si respira da platea e palchi: un conoscersi a memoria, ma scoprendosi ogni volta. Portando a casa una chiusura sipario di diversi minuti di applausi convinti.
Fresi, Cetra... una volta non ha bisogno di promozione. Solo nei quattro giorni di Perugia è praticamente sold out. Qual è il segreto di questo successo?
«Il nostro è un atto d'amore nei confronti del Quartetto Cetra e dell'eredità che hanno lasciato. Fatta di canzoni, gag, parodie e commedia entrati nella nostra cultura, anche se magari qualcuno non ha idea siano loro. Prima della data di Città di Castello, abbiamo partecipato a un incontro con studenti di un laboratorio teatrale. È stato incredibile sentir canticchiare “Non ti fidar di un bacio a mezzanotte...” a ragazzini di 16 anni, che la conoscevano senza sapere fosse dei Cetra. E poi nello spettacolo non si respira aria retrò, molte canzoni sono attuali, ma rivisitate alla loro maniera».
In effetti, si sentono Annalisa, Lauro, Ferro, Fedez, Britti, Pappalardo, Caparezza. Senza spoilerare, c'è la partecipazione di Luca Ward, Pannofino e pure Lillo Petrolo...
«È uno spettacolo trasversale. Che ora compie 15 anni, mentre il trio è pronto a festeggiare il trentennale. Il ricordo più bello? Quando al teatro La Chanson, all'apertura del sipario trovammo in prima fila Lucia Mannucci e Virgilio Savona dei Cetra. Un'emozione incredibile».
E a proposito di emozioni, la sua compagnia dimostra di donarsi molto al pubblico. Stasera festeggerete la mezzanotte al Morlacchi con chi ha scelto di passare insieme a voi il san Silvestro...
«Ce lo ha chiesto lo Stabile e abbiamo detto subito sì. Il rapporto con il pubblico è irrinunciabile. C'è gente che si veste, esce di casa, cerca parcheggio, paga un biglietto per vederci. Glielo dobbiamo. A Spoleto, per esempio, è successa una cosa straordinaria: alle sette di sera c'è il terremoto, arriva l'ordinanza che annulla lo spettacolo ma fuori dal teatro ci sono tutti, venuti lo stesso, nonostante la paura delle scosse, per stare con noi. Abbiamo passato la serata lì fuori, a chiacchierare e fare foto. Bellissimo».
E cosa la lega a Perugia?
«Qui, proprio in questo teatro, ho ricevuto il maggior riconoscimento per un attore. Dopo Guerra e pace, il direttore ha staccato un rocchetto del Settecento del teatro e me lo ha regalato. Lo tengo in mezzo ai premi a cui tengo di più».
Sarà stato felice Brunello Cucinelli...
«Cucinelli conosce il valore di questo gesto».
Ma ora sta piangendo?
«Sì, perché proprio con Guerra e pace è successa una cosa che non smette di commuovermi.

Pochi giorni prima di andare in scena, nel 2021, i teatri sono stati chiusi la seconda volta per la pandemia. Ma noi abbiamo deciso di andare in scena ogni sera, a Morlacchi vuoto. L'abbiamo presa come una continua prova generale. Ma quando hanno riaperto i teatri, alla prima qui a Perugia, quando si è aperto il sipario e abbiamo visto finalmente tutta quella gente, abbiamo iniziato tutti a piangere...».

Ma allora è vero che è un piagnone... E adesso cosa farà?
«Dopo la fine della tournée, mentre Cristiana è stata appena scelta per l'orchestra di Sanremo, mi fermo due mesi per dedicarmi a Lorenzo. Cosa fa? Il liceo musicale, orecchio assoluto, suona pianoforte, chitarra, batteria. Non lo abbiamo indirizzato, ma è chiaro che se in casa hai uno studio di registrazione e a due mesi la ninna nanna te la cantava Mario Biondi... Intanto uscirà la nuova fiction Kostas, per cui sono da poco stato tre mesi in Grecia e in cui sarò il commissario creato da Petros Markaris. Ad aprile esce l'undicesima stagione de I delitti del Barlume, sicuramente dedicata a Marcello Marziali (il vecchietto Gino, scomparso poche settimane fa, ndr. E ancora lacrimoni di Fresi) e poi inizieremo a girare la dodicesima. E se va bene la prima, anche la seconda di Kostas».
Il cinema, il teatro, la musica... È capace di essere il chimico tossico di Smetto quando voglio, l'anti Argentero di Poli opposti, il Secco di Romanzo criminale o un poetico antieroe ne Il Grande Passo con Battiston, ma anche il Salvatore ne Il nome della rosa o di parlare di temi importanti come il disagio giovanile in Vivere non è un gioco da ragazzi. Eppure lei nasce musicista, come ha imparato?
«Non ho studiato. E anche se penso che un'accademia mi avrebbe potuto aiutare, io credo che la maggiore dote di un artista sia la capacità di attenzione. Io guardo gli altri e faccio la spugna. Imparo così. E ascolto. Come il consiglio di Elio Germano di vivere a Bologna prima delle riprese di Vivere non è un gioco da ragazzi, per essere credibile nella cadenza bolognese. Ho passato una settimana al bar di Vito, a giocare a carte con i clienti e a farmi correggere da loro vocali aperte e zeta... Che lì, oh, la zeta è un casino! Ma insomma, credo sia necessario avere più colori possibile sulla propria tavolozza, io mi sento ancora studente, ma finché ce cascano...».
A chi deve di più in questo suo percorso?
«A tantissimi. Ma più di tutti ad Augusto Fornari, un regista ma soprattutto un attore straordinario che mi ha infuso l'amore per questo mestiere».

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