Perugia, caso Pecorelli c’è un complice per il rogo dell’auto

Perugia, caso Pecorelli c’è un complice per il rogo dell’auto
di Walter Rondoni
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Mercoledì 22 Settembre 2021, 11:01

SAN GIUSTINO Da Medjugorje all'isola di Montecristo, toccando Roma e l'isola del Giglio. La verità che Davide Pecorelli ha raccontato al procuratore generale Raffaele Cantone ed all'aggiunto Giuseppe Petrazzini, che coordina le indagini della Squadra Mobile diretta da Gianluca Boiano, supera ogni fantasia. Ne emerge il ritratto di un uomo disperato alla ricerca di una soluzione alla grave crisi dei suoi centri estetici. Votato alla preghiera ed alla meditazione in un convento in Bosnia Erzegovina. Da ultimo perfino ingenuo, quasi infantile nel tentativo, maldestro e naif, di svoltare cercando un tesoro, quello di Montecristo, esistente solo per la leggenda ed il romanzo di Alexandre Dumas. Andiamo con ordine. Il 3 gennaio l'ex arbitro arriva all'aeroporto di Rinas. Noleggia una Skoda Fabia con la quale si muove forse per trovare soci, forse per vendere un costoso macchinario. Ha diversi contatti che non sortiscono effetti. L'8 gennaio l'auto, distrutta dalle fiamme, viene trovata su una strada di montagna. Nell'abitacolo resti umani, effetti personali ed il cellulare stranamente intatti. Ormai il 45enne ha le spalle al muro, pensa al suicidio. Di «dettagli tragici» ha parlato all'uscita dalla Procura di Perugia, lunedì pomeriggio. Subito, però, vira sul “piano B” e, oggi, i magistrati di Puke lo accusano di «distruzione di beni mediante incendio e danneggiamento di tombe», riferiscono dall'Albania. Ma il sindaco della medesima città esclude la profanazione di sepolture. Per gli inquirenti di quel Paese è stato Pecorelli, che si faceva chiamare Francesco oppure Giuseppe, ad incendiare la Skoda ed a simulare la propria morte per rendersi invisibile. «Secondo gli investigatori - spiega la stessa fonte - queste ossa hanno resti umani e crani e si sospetta che siano stati ottenuti riesumando un cadavere».

Il reato «sarebbe stato commesso in collaborazione». Probabilmente senza soldi, il sangiustinese trova aiuto in un sacerdote cattolico che lo indirizza in una comunità di religiosi vicino Medjugorje. Qui rimane tutto il tempo fino al rientro su un bus di pellegrini. Il 12 settembre è a Roma, fa prelevamenti con il bancomat e l'alert relativo dice che è vivo, che è in Italia. Il giorno dopo scende in un albergo all'isola del Giglio. Il 14 settembre chiede informazioni su un gommone a noleggio. Qui ricordano «un bell'uomo, simpatico e gentile». In entrambi i casi mostra una carta d'identità contraffatta intestata a Giuseppe Mundo, geologo. Per questo è indagato dalla Procura di Grosseto. Il 17 settembre Pecorelli viene intercettato alla deriva da una vedetta dei carabinieri forestali di Follonica che vigila sull'inaccessibile area dell'isola di Montecristo. Ha pala, piccozza, sacchi di iuta, calza sneakers, inadatte sulla terra ferma. «Cerco minerali», si giustifica. Ma nella sua camera al Giglio i militari trovano una mappa di Montecristo dove sono individuate tre calette, molto distanti tra loro e difficili da raggiungere senza un'attrezzatura adeguata. Di qui il sospetto che stesse pensando di cercare l'oro nascosto dal conte nella grotta di San Mamiliano. Assurda fiducia nella leggenda e nel libro di Dumas. 

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