In pratica, secondo quanto ricostruito dalle fiamme gialle, ci sarebbe stato un vero e proprio mercato di servizi offerti dalla cosca Grande Aracri alle aziende per evadere le tasse, cioè le fatture per operazioni inesistenti.
Lo schema delineato è quello di un prezzo per ogni fattura attraverso società cartiere (cioè produttrici di fatture false) che poi sarebbero servite agli imprenditori, tra cui il perugino indagato e nei confronti del quale è scattato un sequestro per 148mila euro, per dimostrare al fisco operazioni inesistenti e recuperare l’Iva. Nel dettaglio, il perugino 58enne si sarebbe servito di almeno quattro società riconducibili direttamente a Muto per ottnere queste fatture false.
L’attività promana direttamente dall’inchiesta ‘’Perseverance’’ che si è conclusa nel 2021 e ha visto nel novembre dell’anno scorso l’emissione di 22 condanne in primo grado per associazione per delinquere di stampo mafioso e reati fine aggravati dal metodo mafioso come estorsione, detenzione di armi e reati finanziari, tutti collegati ad una vorticoso giro di false fatture per 13,4 milioni.
Ad utilizzarle per frodare il fisco sarebbero stati come detto tra il 2019 e il 2021 77 imprenditori titolari di ditte individuali e srl di cui 15 con sede a Reggio Emilia, quattro a Modena, tre a Parma due a Ferrara e altre a Forlì, Lodi, Pisa, Perugia, Torino e Verona. Le somme sottratte all’erario ammontano a circa 3,7 milioni mentre nei confronti di 27 indagati il gip ha disposto il sequestro di 2,5 milioni. I profili di chi utilizzava le false fatture, spiega il colonnello Ivan Bixio, comandante provinciale della Gdf reggiana, «corrisponde a quello tipico degli evasori fiscali, con dichiarazioni dei redditi mancanti o quasi nulle in contraddizione con elementi indicativi di un alto tenore di vita».
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