Uj18 saluta con l'eleganza
di Melody e la classe di Porter

Uj18 saluta con l'eleganza di Melody e la classe di Porter
di Michele Bellucci e Fabio Nucci
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Lunedì 23 Luglio 2018, 00:45

PERUGIA - L'ultima serata di questa Uj18 si apre con un atteso ritorno, quello dell'americana Melody Gardot, già in passato altre tre volte presente in cartellone (solo l'ultima all'Arena). Un lungo soprabito scuro copre pantaloni che luccicano, mentre oltre l'elegante scollatura spiccano gli immancabili occhiali. Lo charme di questa diva arriva fino alle gradinate. È come una fresca ventata nella calura estiva e quando attacca Rain il pubblico del Santa Giuliana sembra entrare subito in sintonia con lei. Alcune pedane sul palco creano un atmosfera da jazz club, suggeriscono una notte di poesia, e anche le luci, soffuse, fanno la loro parte, insieme al fumo che esce dai lati del palco nei momenti più intensi.

Dopo Goodbye e So long, sale il ritmo con If the stars are mine. Peccato che stasera non risplendano stelle sopra l'Arena, solo placide nubi (sebbene meno di due ore dopo lasceranno cadere qualche goccia spingendo decine di persone a lasciare la platea). Per fortuna c'è Melody a compensare l'assenza di stelle, pesando ogni movimento e muovendosi dietro al microfono con estrema sicurezza. Sostiene il suo trio tenendo il tempo con le mani e seguendo con lo sguardo ogni musicista che esegue un a solo. Sul palco stasera c'è anche un quartetto d'archi (tre violini e un violoncello), capace di arricchire il sound creando atmosfere rarefatte e intense. Così Our love is easy diviene una sofferta confessione dove sembra emergere ogni sofferenza del cuore. 

Ecco Baby I'm a fool, che canta da seduta imbracciando la chitarra. È uno dei brani più amati dal pubblico e il Santa Giuliana trattiene il respiro. È il momento perfetto per un brano in piano solo, sceglie Morning sun. Poi ringrazia il pubblico in italiano prima di addentrarsi nelle pieghe dell'anima con If ever I recall your face: mentre gli archi ondeggiano intessendo armonie cariche di inquietudine, lei da sola accompagna con il piano e, ovviamente, con la sua voce ora delicata.
"Va bene?" chiede al pubblico, scusandosi per non conoscere l'italiano. "Comunque non è il posto per parlare dei miei segreti - scherza - Questo è un festival incredibile, complimenti. Quello che vedo qui non l'ho mai visto altrove, c'è musica in ogni angolo". Les etoiles è invece un brano in francese e ci si tuffa in atmosfere manuche. Ora vuole la collaborazione del pubblico e prova ad "intonare" un improvvisato coro del Santa Giuliana. Il risultato non è esaltante: "Questo suono si può sentire passando velocemente vicino ad una mandria di mucche!". Anche la Gardot mostra il suo lato più spiritoso e, senza perdere mai la sua eleganza, si lascia andare a molte risate. Poi si concentra su vocalizzi e regala un'eccezionale versione di Preacherman.

"You singing Amazing", premia il pubblico, poi continuando a cantare lascia il palco. Gli applausi insistenti la obbligano a concedere un bis, un altro momento di rara intensità, accompagnata da una chitarra e un violoncello. Lei parla di mare, di nuvole, delle cose che passano. Parla, a volte sussurra, poi canta modulando quella voce fin nel profondo dell'anima. Mentre quelle note solitarie arrivano a toccare le corde del cuore. 

Si apre di nuovo il sipario e scopre un ensemble di 65 elementi: la Umbria jazz orchestra è protagonista dell'ultimo concerto di questa edizione. Una produzione originale diretta da Vince Mendoza, con Gregory Porter a reinterpretare un mito come Nat King  Cole. Quando iniziano le note di Monna Lisa si capisce subito che si apre un altro capitolo prezioso di questo festival. Quella di Porter non è una semplice riproposizione, ma grazie agli arrangiamenti di Mendoza e agli archi dell'orchestra da camera di Perugia, il progetto su Cole diventa quasi un lavoro inedito. Pieno di sfumature musicali che riportano alle grandi orchestre del dopo guerra, con un occhio sul Tamigi, l'altro a Broadway. Così si susseguono Love is funny e Nature boy che Porter annuncia ricordando: "La prima cosa che si impara è imparare". 
C'è spazio anche per una parentesi latina grazie a Quizas Quizas Quizas, che con archi e fiati l'orchestra ha reso come fosse uno standard. "This song really spoke to me", l'ascoltavo quando avevo 6 anni e sentivo che mi voleva dire qualcosa. Il brano è Pick yourself up.

A metà serata una leggera pioggia accompagna le orchestrazioni che rendono queste canzoni senza tempo.

Parte del pubblico lascia, ma la maggior parte resta rapita da questa atmosfera che Porter rende confidenziale, ad esempio, quando ricorda quanto piccolo fosse quando ascoltava le canzoni di Cole. "Avevo davvero una tenera età e questa canzone rispecchia lo spirito di quegli anni", ed ecco I wonder who my father is, mi chiedo chi sia mio padre. Con la pioggia che scende leggera e qualche coppia che balla tra le sedie vuote Porter lancia Smile: la sua voce scalda chi è rimasto sotto l'acqua, in un'atmosfera quasi surreale. Nel finale c'è spazio per un bis, che Porter canta con sfumature quasi gospel mentre il pubblico è ora tutto in piedi; si tratta di The rhytm offline love e l'Arena balla accompagnando con le mani. Una chiusura da fotografare. "Game, set, match" si direbbe sul campo da tennis. Uj chiude con un ultimo emozionante colpo di coda l'edizione dell'anno 45 e già c'è chi attendere il prossimo giro di giostra.

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