CIttà di Castello, crac farmacia: 2,6 milioni di perdite: due amministratori patteggiano le condanne

Nella foto d'archivio l'insegna di una farmacia
di Enzo Beretta
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Mercoledì 24 Gennaio 2024, 08:32

La vicenda giudiziaria legata al fallimento di una farmacia del Tifernate arriva al giro di boa: due patteggiamenti (a due anni e a 20 mesi di reclusione) e un rinvio a giudizio. Questa la decisione che è stata presa ieri mattina dal giudice per l'udienza preliminare di Perugia Natalia Giubilei. Hanno patteggiato le loro condanne due amministratori della farmacia che è stata dichiarata fallita nel marzo 2020. Sono un viterbese di 64 anni e una 65enne pugliese residente a Perugia. Al terzo imputato, il 56enne folignate rinviato a giudizio, non viene contestato il reato di bancarotta bensì un'ipotesi di riciclaggio. Per lui il processo si aprirà il 17 settembre davanti al tribunale di Perugia. Oltre ad aver «tenuto i libri e le altre scritture contabili obbligatorie in maniera irregolare o incompleta» ai due amministratori la Procura contestava il fatto di «aggravare il dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento». Negli atti della Procura si legge che «in particolare, nonostante si fosse già manifestato lo stato di decozione irreversibile, quantomeno a decorrere dall’anno 2015, quando si registrava una perdita di 580 mila euro con riduzione del patrimonio netta a -1,5 milioni, proseguivano le attività, accumulando ulteriori perdite che sommate tra loro fino alla dichiarazione del fallimento, ammontavano a 2,6 milioni».

Tra l’altro - insiste il pm Massimo Casucci - «il 29 dicembre 2017 depositavano un’istanza di concordato preventivo volta a procrastinare ulteriormente il fallimento e facendo gravare sulla società debiti in prededuzione per oltre 100 mila euro, sottraendo così ulteriori risorse di attivo da distribuire alla massa dei creditori, con danno patrimoniale di rilevante gravità».

I due amministratori sono ritenuti responsabili inoltre di aver «distratto la somma complessiva di 146 mila euro prelevandola in contanti o a titolo personale». Il viterbese (difeso dagli avvocati Cesare Gai e Fausto Barili) viene accusato di aver «distratto beni personali dalla massa fallimentare»: in particolare quando si era già manifestato lo stato di decozione irreversibile vendeva l’auto Alfa Romeo Dtm Martini da corsa a Omissis per il prezzo di 420 mila euro che incassava sul conto corrente personale», per poi «farsi emettere dalla banca svariati assegni circolari a suo nome, mettendo temporaneamente tali somme al riparo dall’aggressione dei creditori e dell’Erario».

Il terzo imputato (difeso da Alfonso Tordo Caprioli), rinviato a giudizio, amministratore di un’impresa milanese che si occupa di progettazione, è accusato di riciclaggio in quanto «trasferiva somme di denaro ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa», per un importo di poco superiore ai 90 mila euro. La parte civile è rappresentata in aula dall’avvocato Fabrizio Castelvecchi.

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