Coronavirus, commercianti e sale giochi contro l'ordinanza. Spuntano i ricorsi

Coronavirus, commercianti e sale giochi contro l'ordinanza. Spuntano i ricorsi
di Federico Fabrizi
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 21 Ottobre 2020, 11:00

PERUGIA - I gestori delle sale scommesse sono pronti ad andare in tribunale. Ce l’hanno con il primo comma dell’articolo 3 contenuto nell’ultima ordinanza “anti-covid” firmata lunedì dalla presidente Donatella Tesei: «A decorrere dal 20 ottobre e fino al fino al 14 novembre sono sospese le attività delle sale giochi, sale scommesse e sale bingo».
Perché solo noi e gli altri no? Si chiedono i gestori dei locali. Così l’associazione Assotrattenimento 2007 che rappresenta alcune attività del settore ieri ha chiesto alla governatrice, attraverso il proprio legale, di sospendere in autotutela l’ordinanza di lunedì sera. A giudizio dell’avvocato Massimo Piozzi, che rappresenta alcuni gestori di sale scommesse e gioco «mancano motivazioni a supporto dell’atto... e c’è disparità di trattamento rispetto ad altre attività».
Quel comma, all’articolo 3, è gemello del provvedimento adottato dalla Regione Lombardia. Per questo anche la Astro, un’altra associazione di categoria del “gioco” chiede a Fontana e Tesei l’annullamento in autotutela dell’ordinanza: «Perché manca una valutazione e non c’è alcun documento istruttorio» .
«Durante il lockdown siamo stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire - racconta Loretta Pretti, che gestisce due agenzie di scommesse tra Foligno e Trevi e ieri non ha alzato la saracinesca - seguiamo dei protocolli rigidissimi, mascherina, distanziamento... noi abbiamo otto dipendenti che dovremo mettere in cassa integrazione Covid, sperando di avere ancora qualche settimana a disposizione. Ma perché noi dobbiamo chiudere e le altre attività commerciali no? Il lavoro ora stava riprendendo. E poi con quale criterio noi non possiamo lavorare e i “corner” nei bar che svolgono la nostra stessa attività funzionano regolarmente? Questa scelta è incomprensibile: se chiudono soltanto le nostre attività cosa cambia in termini di diffusione del virus?».
IL COMMERCIO
Ma se la serrata delle agenzie di gioco rischia di diventare un problema, anche gli ingressi contingentati nei centri commerciali (una persona ogni 10 metri quadrati nelle strutture più grandi e una ogni 8 in quelle più piccole) mette in allarme la categoria: «L’ordinanza si è abbattuta sugli operatori dei centri commerciali cogliendoli quasi di sorpresa - spiega il presidente di Confcommercio Umbria Giorgio Mencaroni - si tratta di strutture articolate e complesse, chiamate ad adeguarsi alle nuove misure in poche ore. Siamo molto preoccupati per le prevedibili ricadute sull’operatività di queste strutture e dei singoli punti vendita all’interno, ma siamo anche consapevoli del problema sanitario col quale ci stiamo confrontando, dobbiamo tutti dare il nostro contributo per scongiurare un nuovo lockdown che avrebbe effetti disastrosi. I provvedimenti nazionali e locali limitano la capacità operativa delle attività - rimarca Mencaroni - pur con il condivisibile obiettivo di contenere i contatti e arrestare il contagio, devono essere adottati solo dopo aver verificato l’adeguatezza delle misure, e le norme restrittive devono essere accompagnate da iniziative mirate a sostenere le imprese perché possano sopravvivere all’emergenza. Per questo abbiamo chiesto al governo e alla Regione Umbria di determinare, di concerto con le associazioni di rappresentanza, misure adeguate per le imprese più colpite».
Le parole di Mencaroni si sommano a quelle di Fipe Umbria, che aveva bollato come «inaccettabile», il Dpcm di domenica sera. «Inaccettabile perché ancora una volta – sottolinea il presidente Romano Cardinali – si vanno a colpire imprese che non possono essere assolutamente considerate luoghi particolari di diffusione del virus.

Una cosa sono i locali, che adottando le misure previste dalle normative anti covid e sono luoghi sicuri al pari di tutti gli altri, altra cosa è quello che succede fuori da bar e ristoranti, la cosiddetta movida, rispetto alla quale gli esercenti non hanno alcuna responsabilità. Ma è molto facile scaricare sulle imprese l’incapacità di fare controlli adeguati».

© RIPRODUZIONE RISERVATA