Coronavirus, Celant e le mostre epiche
dedicate al futurismo dimenticato

Germano Celant
di Francesca Duranti
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Venerdì 1 Maggio 2020, 11:58
PERUGIA Addio a Germano Celant, stroncato dal coronavirus, uno dei più importanti critici d’arte di levatura internazionale, che, in alcune occasioni, scelse Gerardo Dottori e i futuristi umbri per grandiosi progetti espositivi come: “Arts&Foods” nel 2015, organizzato in occasione di EXPO alla Triennale di Milano, e “POST ZANG TUMB TUUUM. ART LIFE POLITICS: ITALIA 1918-1943”, inaugurata nel 2018 alla Fondazione Prada di Milano.
Lo stile Celant era un marchio di fabbrica, esposizioni “epiche”. E’ stato un curatore che si è sempre contraddistinto per il suo saper far dialogare le arti, tutte le arti, rendendo la visita alle sue mostre delle vere e proprie “esperienze sensoriali”. Basti pensare alla Biennale della Moda di Firenze del 1996, dove il fiore all’occhiello dell’economia e della cultura italiana, come la moda, venne declinata e rapportata all’arte contemporanea; o alla Biennale di Venezia del 1997, dove per la prima volta fu inserito il design in mostra al pari delle arti tradizionali.
Per Gerardo Dottori, che dal 1912, data della sua prima esposizione futurista, partecipò a tutte le rassegne più importanti come quattordici Biennali di Venezia, solo per fare un esempio, essere “selezionato” da Celant, per i suoi originalissimi percorsi espositivi è stata una ulteriore conferma della sua importanza storica quale protagonista del Futurismo.
Per la mostra Arts& Foods, ovvero “La Divina Commedia della cucina”, così fu definita la mostra ufficiale che ha inaugurò EXPO 2015 alla Triennale di Milano, che raccontava il rapporto tra arti e cibo, dalla prima edizione dell’Esposizione Universale, datata 1851 ad oggi, venne scelta la Sala da Pranzo Futurista che Dottori ideò e realizzò nei primi anni Trenta per la casa di un suo famoso collezionista romano, Mario Cimino. Fu scelto un posto d’onore per esporla, nella prima sala, dove si raccontava l’audacia della cucina Futurista. Tra buffet, contro buffet, tavolo allungabile, sedie con seduta in pelle, divisori lampadario e appliques, tra gli inserti geometrici in metallo, piedini in vetro di Murano e cristalli, quella sala da pranzo unica nel suo genere, lasciò la stampa e il pubblico a bocca aperta, come fu nel 2014, quando fu esposta al Guggenheim di New York per la grande mostra sul Futurismo, e proprio lì la vide Celant. Ma non fu scelta solo la Sala da Pranzo, ma anche i bozzetti e le fotografie del Ristorante futurista l’Altro mondo, inaugurato da Marinetti a Perugia nel 1924. C’è stata poi la grandiosa esposizione di Celant dove ricostruì secondo la sua visione, il Novecento, con tutto -fra l’altro - ciò che era possibile reperire di un Futurismo che ancora sembra poter sorprendere, tirando fuori opere d’arte dalla polvere della storia. Questa volta lo fece alla Fondazione Prada nel 2018, con un progetto quasi utopistico: ricostruire come in un album di figurine interi padiglioni di mostre come Biennali e Quadriennali, ponendo l’originale sopra alla sbiadita fotografia dell’epoca stampata in gigantografia.
Attraverso un allestimento, che allo stesso tempo appariva monumentale ed evocativo, è stato messo da parte il concetto puramente creativo di mostra emozionale, rendendo spettacolare la fedele ricostruzione delle più importanti esposizioni di quegli anni, partendo da rarissime immagini documentarie dell'epoca. Fu come sempre nello stile Celant un’idea ambiziosa, quanto folle, che solo un curatore d'avanguardia come lui poteva averne chiara l'architettura. Quadri e sculture emergevano dallo sfondo degli ingrandimenti volutamente sgranati di fotografie storiche come fossero sinopie, dove spesso solo poche opere hanno potuto ritrovare la loro originaria collocazione, facendo notare che cento anni ormai passati hanno lasciato il segno di troppe opere disperse. In questo contesto di filologica ricostruzione, il gruppo futurista umbro ne è uscito alla grande, stato protagonista, come la storia racconta, e come l'esposizione milanese ci restituì. Già dalla terza sala, delle 24, Gerardo Dottori si presentava nell'allestimento a grandezza naturale della ricostruzione della III Biennale di Roma del 1925, dove nella fotografia d'archivio, Marinetti, Benedetta, Tato e Prampolini, si trovavano seduti al centro della sala espositiva immersi tra le opere disposte a quadreria di Giacomo Balla e Dottori. Delle cinque opere presenti nella foto, solo due erano rintracciate, “Gialli Violetti” del 1923, esposta nella fedele ricostruzione, e “Armonie di forme e colori” del 1925. Scandite per anni le sale restituivano poi l'esposizione di Palazzo delle Esposizioni, del 1928, dove era esposta “Flora” del 1925, insieme a “Incendio città” del 1926, presente nella sala della Biennale di Venezia dello stesso anno. La presenza dottoriana si concludeva con una fotodinamica dei fratelli Bragaglia che lo ritrae nel 1920. Altro grande esponente umbro futurista, Alessandro Bruschetti era presente con una magnifica aeropittura del 1934, esposta alla Biennale di Venezia dello stesso anno, e infine una delle rarissime donne del movimento futurista, la Folignate Leandra Angelucci Cominazzini, era in mostra con un'opera aeropittorica esposta alla Biennale Veneziana del 1934.
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