Da Brescia ‘93 a una vita senza la Roma: la metamorfosi di Totti, un bene di tutti

Da Brescia ‘93 a una vita senza la Roma: la metamorfosi di Totti, un bene di tutti
di Alessandro Angeloni
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Domenica 29 Marzo 2020, 07:30
Ventisette anni fa i primi calci in serie A, quante volte lo abbiamo ricordato e raccontato nella nostra carriera, sempre al fianco della sua, o almeno in buona parte. Francesco Totti è il primo a ricordare quel 28 marzo di 27 anni fa, sul campo del Brescia, dove tutto cominciava. Grazie a Mihajlovic e Boskov, quella sostituzione di Rizzitelli è diventata presto icona per la storia. Brescia, oggi, è una delle zone più colpite dal coronavirus, che ha sdraiato a terra un paese e che ha chiuso in casa tutti, anche Totti, che stiamo vedendo in televisione, fresco e divertente come sempre, utile per distrarsi, per evadere un po’: in fondo deliziava prima e oggi fa lo stesso, con la differenza che una volta aveva un pubblico di parte (quello romanista), oggi è di tutti (telespettatori e telespettatrici, non necessariamente appassionati di calcio o di Roma). Totti si affaccia e dalla sua finestra di instagram, racconta e ricorda questo spazio di tempo infinito, da ieri (Brescia, 28 marzo del 1993) a oggi (in quarantena come tutti) fino al futuro (ignoto, con la speranza, anche la sua, di tornare nel calcio, anche nella sua Roma). Un finale ci carriera controverso, polemico, contro la Roma, che anche stavolta non manca nel definirla «un amore che non avrà mai fine». 

AVANTI IL PROSSIMO
Un altro Totti non ci sarà, ma la speranza è che proprio Francesco, attraverso la sua nuova attività - tra le altre - di procuratore/talent scout, provvederà a colmare quel buco. Da Cristian (il figlio) in poi, c’è voglia di Totti, almeno tra la gente, che ora lo segue anche in altre forme, in veste di se stesso in un reality, nelle pubblicità o in prima linea per aiutare gli ospedali collassati dal coronavirus. Totti c’è sempre, oggi è diverso. Quello che ci piace giocava a calcio meravigliosamente, come lui stesso ricorda nelle stories di instagram e come la Uefa ce lo celebra con un montaggio video (la sua giocata preferita, il colpo di tacco), ricordando il suo esordio nel 1993 e definendolo «maestro, leggenda... il resto è storia». «Sono passati 27 anni di amore, di passione, di fedeltà e soprattutto la fortuna di aver indossato l’unica maglia che ho amato veramente… Un amore che non avrà mai fine», le sue parole. L’amore per la Roma non ha fine, quello per questa Roma (per buona parte della sua dirigenza, almeno) è finito lo scorso giugno, quando in quella famosa conferenza fiume al Coni lo ha urlato urbi et orbi. Da quel pomeriggio Totti è tornato se stesso, a spasso per il mondo. Lui, indipendente, e la Roma dall’altra parte. A guardarsi a distanza, dimenticando quasi di un soffio i suoi 307 gol nelle 785 partite giocate, complessivamente, con la maglia giallorossa. E quel mondiale 2006 vinto nella finale di Berlino contro la Francia di Zidane. Numeri, emozioni. Come lo scudetto del 2001, con quella cavalcata lunga terminata nell’Olimpico stracolmo d’amore, quell’amore cominciato a Brescia, quando aveva ancora i brufoli adolescenziali, nemmeno diciassettenne. Chi lo rivuole Totti nella Roma? Sarebbe interessante capire se qualcosa, nella gente, sia cambiato in questi mesi, nell’ultimo anno. Perché qui ci si innamora dei dirigenti, dei presidenti dei direttori sportivi e si tifa per loro o per le proprie idee. E chi, nonostante i contrasti non nascolsti, parla «di un amore che non avrà mai fine», magari lo emarginiamo, di
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