Candela compie 50 anni: «Roma, ti serve Totti. A Trigoria lavorerei gratis»

Parla il francese, dai primi calci a Palavas allo scudetto nel 2001 in giallorosso

Candela compie 50 anni: «Roma, ti serve Totti. A Trigoria lavorerei gratis»
di Alessandro Angeloni
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Lunedì 23 Ottobre 2023, 08:46 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 09:06

Cinquant'anni domani. Di questi, 8 nella Roma, 27 a Roma. In Francia, per tutti, è "l'italiano", si chiama Vincent Candela, campione d'Italia in giallorosso nel 2001. «Mi sarebbe piaciuto avere un ruolo a Trigoria, tra calciatori e dirigenza, occuparmi delle dinamiche del gruppo. Ho sempre chiesto, fin dai tempi di Baldini, poi ne ho parlato con Montella, con Di Francesco, sarei andato anche gratis. Forse non sono in grado, forse mi sono posto male. Un po' mi è dispiaciuto». Un destino che lo accomuna a Francesco Totti, suo compagno di viaggio, sempre e per sempre. Lui e Checco, inseparabili da giocatori e ora da uomini amanti della vita e del padel. «E' una follia che Francesco non faccia parte della Roma. Le sue maglie sono ancora oggi le più vendute, è uno conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. E' la storia di questo club, forse è uno scomodo, magari fa ombra a qualcuno, non saprei. Uno come lui ci deve stare, magari insieme».
A cinquanta anni ci dice se era più forte Totti o Zidane?
«Uno ha giocato solo nella Roma, l'altro nel Real, nella Juve; uno ha fatto cento gol e ha vinto tutto, l'altro trecento e vinto meno. Ma come si fa a rispondere? Impossibile».
Si sente vecchio?

«Vintage. Non guardo al passato, non penso al futuro. Faccio tutto con passione, ma qui e ora. Ma oggi mi sento di essere grato a chi ho incontrato, che mi ha fatto essere quello che sono, quasi completo».

Il suo primo pallone?
«Per strada. Vengo da una famiglia umile, papà magazziniere, mamma pasticciera. Giocavo a Palavas, dove sono cresciuto, allenato da mio padre. A otto anni al Montpellier, facevo il centravanti, poi Jean-Louis Gasset, che ora allena la Costa D'Avorio, mi ha inventato come terzino sinistro. Poi, non c'erano soldi e sono andato al Tolosa e al Guingamp, quindi ho incontrato Roma. Oggi si parla di terzini che vanno in mezzo al campo, io lo facevo venti anni fa».
Il suo rapporto con i soldi?
«Sono generoso. Ho speso un po' per le macchine, nulla di più. Qualche investimento sbagliato l'ho fatto, ma non rimpiango nulla. Sono felice».

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Possibile, sempre?
«Quando ho lasciato il calcio, ero disorientato, per tre anni non sapevo cosa fare».
Perché ha smesso presto?
«Quando sono andato via da Roma si è spenta la luce, sono partito lasciando 2 milioni e mezzo. Non ho mai giocato per soldi, altrimenti avrei tirato fino a quarant'anni».
Con Zeman male?
«Ci faceva fare delle cose che non mi piacevano e spesso litigavamo. Ero sul mercato, mi voleva Lippi all'Inter. Non sarei scappato di notte come altri».
Anno 2004, la sera della Befana: Roma-Milan, cosa è successo?
«Eravamo tutti arrabbiati con i brasiliani, scesi in campo pur essendo tornati tardi dalle vacanze di Natale. Il gruppo è il gruppo e in quel momento si era diviso».
Il suo rapporto con Capello?
«Facevo un po' come volevo. Dopo le partite in trasferta, spesso restavo in città e alcuni giocatori chiedevano al mister se potevano rimanere con me. Con Capello era così: io do tutto, ma poi non mi rompere».
Un compagno con cui ha litigato?
«Aldair. Finimmo alle mani. Mi rimproverava in campo, platealmente. Nello spogliatoio ci hanno dovuto dividere. Ma Alda è uno dei miei migliori amici».
Ha fatto pace con Mourinho?
«Avevo solo mosso una critica, a Tolosa, la scorsa estate, mi ha detto che era tutto archiviato».
Ha mai pensato di fare l'allenatore?
«Mi chiamò la squadra di Puskas, l'Honved, ma la Federazione non ha firmato la deroga, cosa che ha fatto in passato con altri. Ho preso un patentino Uefa B, poi c'era da aspettare un altro anno e non mi andava più. Ho chiesto di fare da assistente a Garcia, a Di Francesco, niente. Se fosse arrivato Blanc...».
Che allenatore sarebbe stato?
«Ci sono i calciatori, poi dipende sempre dalle società».
In che senso?
«Ad esempio, nel 2002 la Roma non è stata in grado di trattenere Cafu, che poi nel Milan ha giocato ad alti livelli. La differenza è lì, si lasciano scappare i calciatori e ci si indebolisce. E' successo anche di recente».
Il suo "problema" da giocatore è stato Lizarazu.
«Alla fine mi ha pure ringraziato per come sono stato al suo "fianco". Ma io, dopo il Mondiale in Giappone, ho chiesto: c'è ancora Lizarazu? Sì. Allora addio. Dopo otto anni mi ero rotto le scatole».
Oggi segue il calcio?
«Solo la Roma. Il resto mi annoia. Vedo poca tecnica. Prima si giocava dieci ore per strada, oggi i ragazzi fanno tattica in quelle ore di allenamento e stop».
C'è un Candela?
«Theo Hernandez. Io giocavo pure col padre, Jean-François. Mi piaceva Zalewski, poi da sinistra è finito a destra e si è perso».
Come si vede tra 50 anni?
«Il passato non lo cambio, il futuro non lo conosco. Mi godo quello che ho, non ho bisogno del lusso».
Fa sempre il contadino?
«Non più. Ma sono uno a cui basta poco. Quando facevamo le trasferte regalavo il posto in business a Giorgio Rossi». Auguri, Vincent.
 

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