Francesco Molinari: «L'Open d'Italia? Non so ancora se ci sarò. Cerco la scintilla e sarà la Ryder Cup»

Parte la stagione 2023, con il golfista azzurro motivato nel rientrare tra i primi 100 del mondo: «Sto lavorando per ritrovare convinzione. A certi livelli è necessaria»

Francesco Molinari: «L'Open d'Italia? Non so ancora se ci sarò. Cerco la scintilla e sarà la Ryder Cup»
di Stefano Cazzetta
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Martedì 3 Gennaio 2023, 16:09

Francesco Molinari risponde dalla sua casa di Los Angeles, dove sta trascorrendo gli ultimi giorni di vacanza. Poi partirà per Abu Dhabi dove, dal 13 al 15 gennaio, andrà in scena l'Hero Cup, l'inedita sfida di golf tra 10 giocatori dell'Europa continentale e 10 di Gran Bretagna e Irlanda. Un bel test in vista della Ryder Cup di Roma.

Nel 2018 a Roma risultò essere il capitano morale del team europeo con le sue 5 vittorie su 5, ora invece svolgerà davvero il ruolo di capitano-giocatore. Sente il peso della responsabilità?
«Sono felice che la scelta sia caduta su di me e sono curioso di vedere come la caverò. Comunque non sarò solo: Luke Donald e i suoi vice capitani, compreso mio fratello Edoardo, saranno lì a darci una mano e ciò mi lascia più tranquillo».

Dall'altra parte c'è la squadra guidata dal suo amico Tommy Fleetwood. Chi è il favorito?
«Sulla carta loro sono più forti, hanno più stelle. Penso a Shane Lowry, a Tyrrell Hatton, per fare due nomi. Noi però abbiamo una squadra più equilibrata. Siamo molto motivati. Faranno bene a non sottovalutarci».

Da buon capitano ci elenca i 9 giocatori che saranno sotto la sua guida?
«Potrò contare sui belgi Thomas Detry e Thomas Pieters, i francesi Victor Perez e Antoine Rozner, il danese Rasmus Hojgaard, l'austriaco Sepp Straka, il polacco Adrian Meronk, lo svedese Alex Noren e l'italiano Guido Migliozzi. Ho avuto frequenti colloqui con tutti loro. Ma in questi giorni di festa li ho lasciati un po' più tranquilli».

Ha dichiarato che il Molinari del 2018, quello che vinse tanto, compreso l'Open Championship, appartiene al passato e non tornerà più. Ora è concentrato su quello del 2023. A che punto siamo?
«Lavori in corso, anche se nel golf non si può mai sapere.

A volte basta un niente, una piccola scintilla, per cambiare le carte in tavola. Ed è quello di cui ho bisogno. Nel 2018 avrei dato la stessa risposta e sappiamo com'è andata, fortunatamente. Col professor Sandro Donati, anche se a distanza, stiamo facendo un ottimo lavoro. Mi sta aiutando molto. Così come è prezioso, a livello mentale, il supporto del professor Giuseppe Vercelli. Per tornare a certi livelli bisogna ritrovare convinzione ed è quello che stiamo cercando di fare».

Quali sono i suoi obiettivi per il 2023?
«Rientrare quanto prima nei primi 100 del mondo e orientare tutti gli sforzi in un'unica direzione: la Ryder Cup di Roma a fine settembre».

Rispetto al passato, giocherà di più sul Tour europeo, a cominciare dalle gare di Abu Dhabi e Dubai subito dopo l'Hero Cup. Come mai questo cambio di strategia?
«La ragione è semplice. Le gare in questione garantiscono più punti in chiave Ryder Cup rispetto a quelle che si svolgono nello stesso periodo sul Pga Tour. Devo approfittarne. Poi tornerò in America per il Waste Management, il Genesis Invitational al Riviera, che è il mio campo, e così via. Di sicuro, giocherò più gare rispetto alle passate stagioni».

Sul Tour europeo troverà in pianta stabile due soli altri italiani, suo fratello Edoardo e Guido Migliozzi. Un po' pochi. Come se lo spiega?
«Credo che sia un calo fisiologico. Nel golf può accadere. A livello giovanile continuiamo a essere fortissimi. Dunque si può ben sperare. Un tempo, ritenevo che i nostri ragazzi si mettessero poco in gioco, ma oggi non è più così. I college americani sono pieni di nostri talenti. Ed è un'esperienza altamente formativa, sotto ogni profilo, non solo sportivo perché il gap tra il golf dilettantistico e quello professionistico è enorme. Un po' come, nel calcio, il campionato Primavera e quello di serie A. Bisogna aver pazienza. Qualche anno i francesi erano quasi scomparsi sul Tour, oggi sono in tanti».

Per anni ha vissuto Londra, poi il grande passo rappresentato da Los Angeles. Rifarebbe la scelta?
«Sicuramente sì. È stata una grande esperienza per me e la mia famiglia. Ti rendi conto di quanta differenza anche culturale - ci sia rispetto ad altri posti. Anche rispetto a Londra. Non so come definirlo, ma è un modo di vivere più profondo, che ti arricchisce».

Sta ipotizzando un ritorno in Italia?
«Sì e no. Ne parliamo spesso io e mia moglie Valentina. Dobbiamo ragionare per noi e per i nostri figli, che hanno vissuto una vita imparando ad adattarsi a situazione nuove. Ma intanto crescono, non possiamo rimandare a lungo la decisione. Prima la prendiamo, meglio è».

Può dirci se ci sarà all'Open d'Italia di maggio?
«Non lo so ancora. La ragione sta sempre nell'obiettivo Ryder Cup. Negli stessi giorni, sul Pga Tour, c'è il Wells Fargo Championship, torneo che dà molti più punti in chiave qualificazione. Dipenderà da come mi troverò in classifica in quel momento e ne parlerò con Luke Donald. In ogni caso sarà una decisione da ponderare bene».

Cosa farà quando smetterà di giocare, tra tantissimi anni? Dobbiamo aspettarci una scuola di golf Francesco Molinari o che cos'altro?
«Altra risposta difficile. Mi piacerebbe rimanere nel mondo del golf e dello sport in generale, ma potrei anche tentare qualcosa di diverso. La verità è che ci sto pensando, ma non ho ancora deciso. In ogni caso, c'è ancora tempo».

Per chiudere: potesse tornare indietro, qual è il colpo che rigiocherebbe in maniera diversa?
«Il secondo al par 5 della 15 di Augusta».

Avremmo detto il tiro al par 3 della 12, con la palla finita in acqua
«No, il secondo alla 15. Con un colpo effettuato in maniera diversa, la palla non sarebbe finita troppo a sinistra. A quel punto avrei potuto rimettermi pienamente in gioco e scrivere un finale diverso al Masters 2019».
Ah, se potesse tornare indietro
 

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