Accorsi porta in scena Ariosto e Boccaccio: «Io, come Orlando sempre sospeso tra amore e follia»

Accorsi porta in scena Ariosto e Boccaccio: «Io, come Orlando sempre sospeso tra amore e follia»
di Simona Antonucci
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Martedì 6 Marzo 2018, 11:59 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 20:18
«Dicono che a narrar storie il mondo diventi assai meno terribile. E per tal compito, in questi tempi amari...», Stefano Accorsi si è messo all'opera. E si è trasformato in un cavaliere narrante che da più di sei anni attraversa l'Italia in lungo e in largo, dando voce a versi di Grandi italiani. Un progetto, studiato insieme con Marco Baliani e Marco Balsamo, dedicato a tracce, memorie, letture da Orlando Furioso e a vizi, virtù e passione del Decamerone.
«In questi tempi amari, dove a parlare sembra solo la realtà, con passo volatile e leggero, tocchiamo sostanze alte e un sentire sincero», recita l'attore, introducendo monologhi in rime dei grandi poeti, che dal 13 al 18 marzo verranno proposti sul palco dell'Ambra Jovinelli: i primi tre giorni le parole dell'Ariosto con Giocando con Orlando-Assolo e poi dal 16 nel furgone di una compagnia teatrale che mette in scena sette novelle del Boccaccio.
Come si condensano due capolavori?
«Abbiamo scelto una linea narrativa, mantenuto il verso, la lingua in rima. Ed esaltato l'ironia. In Orlando io sono narratore e personaggio. Per un attore è un invito a nozze. Entro ed esco dai più diversi stati d'animo, la follia, la paura, la vigliaccheria, la passione, i sentimenti. Viene fuori tutta la fragilità dell'essere umano. Sembra un romanzo dell'Ottocento con uomini e donne messi a nudo nella loro più profonda natura. Orlando, il più forte di tutti, che impazzisce d'amore per Angelica».
L'amore è il filo conduttore in entrambi gli spettacoli.
«Sono state scelte sette novelle di Boccaccio, diverse, ma tutte dedicate alle donne. E all'amore come rito salvifico e vitale. Amore sensuale, erotico, romantico, ma sempre inteso come sopravvivenza contro ogni barriera».
Anche per lei l'amore è centrale?
«Senza l'amore non credo si possano fare cose che lascino un segno dentro di noi e negli altri. Sia che si tratti di professione, sia che si tratti di persone».
La passione ha mai condizionato le sue scelte?
«Sempre. Seguo l'istinto e vado nella direzione in cui trovo una corrispondenza. Non esistono scelte razionali. L'impensabile è vita. Una vita interamente pianificata sarebbe preoccupante».
E come si fa a non pianificare una carriera come la sua?
«Certo, ci sono progetti a lungo respiro come la trilogia 1992. O questo teatrale con Baliani che potrebbe continuare con Machiavelli e Basile. Ma magari spunta fuori un qualcosa di nuovo e bisogna rimodulare tutto».
Lei ha fatto più film importanti con gli stessi registi: Placido, Ozpetek e Muccino, tra l'altro in sala in questi giorni. Ed è a teatro con Baliani da diversi anni. È un tipo fedele? Le piace creare delle collaborazioni durature?
«Trovo che sia una cosa bella. Quelle che continuano nel tempo possono diventare avventure stimolanti».
Anche nella vita è un uomo fedele? Che si proietta nel futuro?
«Sì! Del resto, che cos'altro potrei rispondere? E comunque ho fatto dei figli. Certo che mi proietto nel futuro».
Gli spettacoli che sta portando in tour a teatro nascono dal piacere di narrare. Lei racconta favole ai suoi figli?
«Di ogni tipo. Ma non posso fare troppo l'attore. Preferiscono una lettura piatta che lasci spazio alla loro creatività».
Trascorrere parte dell'infanzia in un luogo di campagna l'ha arricchita?
«Si. Ho imparato che si può fare a meno di un certo formalismo».
E vivere e lavorare a Parigi?
«Quando sei all'estero impari qual è il nostro dna. Che cosa significa essere italiano».
Dei Grandi italiani che porta in giro quali emozioni conserva?
«L'incredibile capacità di costruire personaggi modernissimi. Orlando, forte e fragile, Angelica, bella, irresistibile e vulnerabile. A ogni passo rischia molestie e violenze».
Un argomento che ha messo sottosopra il suo ambiente, il mondo dello spettacolo.
«Un mondo abitato da persone perbene. Non ho voglia di difendere la categoria, ma generalizzare è sciocco. Ed essere generici non aiuta nessuna battaglia. Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi, ma non credo che problemi di questa importanza si possano affrontare tirando su barriere tra uomini e donne. Aprire un dialogo è necessario per un progresso comune. L'inclusione è l'unica via. E come me tanti uomini avrebbero firmato gli appelli delle colleghe».
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