Il tenore Grigolo al Teatro dell'Opera: «Sogno una Tosca in stile James Bond e un programma tv sulla lirica»

Il tenore mondiale Vittorio Grigolo, 44 anni
di Simona Antonucci
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Venerdì 3 Dicembre 2021, 11:44

«Cavaradossi? Un gentleman d’altri tempi. Direi un James Bond. E vorrei lanciare un appello: tra le tante letture del capolavoro di Puccini messe in scena finora, perché non è mai venuto in mente a nessuno di fare una Tosca in stile 007? Io sarei pronto. Cavaradossi è un cavaliere nell’anima, un seduttore e un “agente segreto” della Roma ottocentesca. Pensiamoci».

Brian May

Il tenore mondiale Vittorio Grigolo, 44 anni, toscano, è un’eccellenza anche romana: si è formato nel coro della Cappella Sistina e ha debuttato, giovanissimo, a 13 anni al Costanzi, nei panni del pastorello, in una produzione storica, nel 1990, diretta da Daniel Oren con Luciano Pavarotti e Raina Kabaivanska.

Un altro record alla Scala dove è il più giovane cantante a debuttare nel tempio. E poi Covent Garden, Opera di Parigi, Met, ma anche un disco pop. Un duetto con Brian May intonando Lucean le Stelle a Verona («sono cresciuto con i Queen anche io»). Mattatore con Sting, Springsteen e Taylor alla Carnegie Hall, coach ad Amici, un corto con Giancarlo Giannini, «Ho fondamenta romane», scherza, «quindi belle solide».

Pavarotti

E a Roma torna il 4 novembre per interpretare l’opera, Tosca, che gli ha segnato il destino. «Mi ricordo ancora tutto, le emozioni, i colori, il palco, Pavarotti che incrociavo dietro il palco: io uscivo dopo la mia aria e lui entrava per Lucevan Le Stelle. Ma si fermava sempre un minuto per darmi coraggio». Ospite del programma di Bruno Vespa, Porta a Porta, il tenore, ha incantato il pubblico di Rai 1 proprio con l’aria Lucevan le stelle, «quando, aspettando la sua esecuzione a Castel Sant’Angelo, il pittore Mario Cavaradossi rievoca gli incontri amorosi notturni con Tosca, disperandosi per la fine imminente. Oh! dolci baci, o languide carezze...», intona Grigolo, «un inno alla vita. Bisogna amarla sempre, la vita, godersela a pieno, senza aspettare di arrivare all’ultimo istante». In scena con il tenore, fino al 12 dicembre, Saioa Hernández nei panni di Tosca, Roberto Frontali (il Barone Scarpia), Roberto Abbondanza (il Sagrestano) e Luciano Leoni (Cesare Angelotti), nell’allestimento storico firmato da Hohenstein, quello che vide Puccini nel 1900: dirige Paolo Arrivabeni. «Uno spettacolo classico, come piace a me: Zeffirelli docet».

Pavarotti la incoraggiò?

«Si, mi faceva sempre i complimenti, quando finivo l’aria. “Diventerai il numero uno, ma devi studiare tanto”, diceva. E alla fine il miracolo è avvenuto».

Come ha fatto a tenere a bada il suo carattere esuberante?

«Sacrifici tanti, cammino duro, ma nel mondo dell’opera, anche se arrivi a essere uno dei grandi, non sarai mai come una popstar».

Tentazione di fare altro?

«Mi proposero una carriera pop, di entrare in un gruppo che poi ha venduto anche tante copie, ma avrei distrutto tutto quello che ho adesso e che amo».

Rimpianti?

«Zero, rifarei tutto e tutti gli stessi errori».

Quali?

«Ogni cosa che si fa può essere letta come un errore. Perché dopo un po’, dischi, spettacoli, scelte, vorresti cambiare tutto e fare diversamente. Ma sono comunque passi che ti portano avanti».

Errori gravi? Lei che è arrivato al top non ne avrà fatti tanti?

«Allora chiamiamoli errori giusti che mi hanno portato al successo».

Per esempio?

«Essere entrato nel coro della Cappella Sistina da piccolissimo. A nove anni. All’epoca io lo consideravo un errore. Non potevo fare le partite di calcio. Musica tutto il giorno. Invece di fare casino con le ragazzine, canto gregoriano. Non è stato facile. Per fortuna a mensa c’era il ping pong, l’unico svago normale. Ora so che è grazie a quello studio e a quella disciplina che sono diventato cantante e uomo».

Dal 4 interpreta un uomo leggendario, Cavaradossi che ha fatto impazzire di gelosia Tosca. Giustamente?

«Non scherziamo. Un conto è guardare il menu, un conto è mangiare. Lui era incuriosito dalla Attavanti, ma non l’ha mai invitata a cena. E lo dice: il pregante fervore, in giovin donna e bella m’avean messo in sospetto di qualche occulto amor!»

Tosca non manda giù il ritratto...

«Ma lui le spiega... Ma nel ritrar costei, Il mio solo pensiero, Tosca, sei tu... Le donne vogliono guardare quello che vogliono, il carbone invece dei regali».

Lucevan le stelle è diventato un suo cult.

«Un inno alla vita, che è un grandissimo regalo. Assaporare un’alba, il profumo della persona amata. Crediamo di ritrovare tutto nel metaverso, e invece nel virtuale si perde tutto».

Tornerà a Sanremo?

«Non so come andrà con i prossimi impegni. Sarò a lungo a Vienna, prima con Tosca e poi con Carmen che per me è un debutto, e che canterò di nuovo all’Arena di Verona questa estate. Ma nel frattempo sto lavorando a un album».

Tutto suo?

«Sì. Ed è dedicato a questo periodo della mia vita. Lo produce Tony Renis. Si intitola Verissimo, proprio perché mi sento nel pieno della maturità, umana e professionale e voglio reinterpretare le mie arie preferite, una compilation di arie di vent’anni di carriera, da Tosca a Traviata, La bohème, Elisir, proprio in modo Verissimo. A 44 anni è il momento perfetto. Dopo i 50 cambia tutto».

È arrivata anche una figlia... Canta per lei?

«Ha un anno e tre mesi e ha già il groove nel sangue. Quando chiama la mamma, Stefania, dice Mami con un tono imperioso, ma quando dice papà, la “a” si moltiplica in un canto. La sua voce ha regalato alla mia tanti nuovi colori. Non la spingerò mai a farlo, ma credo che diventerà musicista».

Sanremo, Amici, Porta a Porta, le è anche un divulgatore televisivo: le piacerebbe una trasmissione sulla lirica?

«Sì, ci ho pensato. Ma finora gli impegni in scena sono stati così incalzanti da non poter fare altro. Ma arriverà anche questo. L’ho fatto con Amici. Ed è stata una commessa vinta». 

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