Pat Metheny dal jazz al classico nel suo nuovo album "Road to the Sun", a maggio tour in Italia

Pat Metheny dal jazz al classico nel suo nuovo album "Road to the Sun", a maggio tour in Italia
di Fabrizio Zampa
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Sabato 27 Febbraio 2021, 21:48

S’intitola Road to the Sun, la strada per il sole, il nuovo album di Pat Metheny che esce in tutto il mondo fra una settimana, il 5 marzo, e segna un ritorno del chitarrista (66 anni, da Lee's Summit, Missouri, vincitore di  20 Grammy Awards, 47 album alle spalle, collaborazioni con decine di star, da Charlie Haden a Gary Burton, Jack Dejohnette, Dewwey Redman, Mike Brecker, Ornette Colman, Jim Hall, Lee Konitz,  Chick Corea, Miroslav Vitous, Anthony Braxton, Jan Garbarek, Noa, Scott Colley, Dan Gottlieb, Paul McCandless, Michael Gibbs, Helge Sunde e mille altri) alla sua vecchia e originale passione, la grande tradizione della chitarra classica. In attesa che Pat, uno dei migliori chitarristi sulla scena mondiale, ricominci a girare il mondo (salvo imprevisti Covid sarà a Roma, al Parco della Musica, domenica 2 maggio con la sua band, e poi a Milano, Ravenna, Padova e Torino, prima di partire per il Perù, fare conoscenza con la sua ultima opera sarà un vero piacere.

 

Sono pochi i musicisti capaci di esplorare nuovi territori senza perdere un grammo del loro inconfondibile modo di suonare, ma lui anche stavolta ci riesce: il suo nuovo lavoro è un progetto che propone sei  movimenti della suite Road to the Sun scritti e arrangiati per il Los Angeles Guitar Quartet (gruppo di chitarre classiche nato nel 1980 e formato da John Dearman, William Kanengiser, Scott Tennant e Matthew Greif, che Pat definisce  «uno dei migliori ensemble del mondo»), una performance solista di Jason Vieaux (da Buffalo, New York State, 47 anni, citato come «uno dei chitarristi classici più precisi e pieni di soul» del panorama americano) della metheniana suite in quattro parti Four Paths of Light e come bonus track  un solo di Metheny sulla sua chitarra a 42 corde di Für Alina, un'opera per pianoforte scritta nel 1976 dal compositore estone Arvo Pärt. Un bel menu, come è facile capire

Che cosa ha fatto Metheny, ha studiato per l’occasione le tradizioni della chitarra classica o si è basato sui suoi anni e anni di  esperienze? «Sia per quanto riguarda il Los Angeles Guitar Quartet  che Jason Vieux - dice -  sono sempre stato un ammiratore non solo del loro modo di suonare ma anche del loro incredibile talento e delle loro capacità di affrontare composizioni non improvvisate.

La tradizione vuole che l'autore chiarisca sulle partiture ogni singolo dettaglio e aspetto di ciò che si deve suonare, non solo per gli esecutori del momento ma anche per gli altri musicisti che affronteranno il materiale in futuro, e devo confessare che è un grande piacere sapere che quegli spartiti siano un insieme di istruzioni che garantiscano il risultato finale. Ma io mi sono limitato a scrivere quello che potesse ispirare la bravura di virtuosi come il quartetto e Vieux».

Spiega Metheny che per lui è difficile affrontare gli eventuali problemi degli esecutori. «La musica – sostiene – è una sola, grande e unica cosa che esiste in una realtà che non ha confini. Ci sono musicisti che hanno alle spalle una particolare tradizione che richiede che ogni aspetto di quello che suoneranno sia dettagliato dalla prima all’ultima nota, ma ce ne sono altri che non hanno bisogno di spiegazioni per trovare il modo giusto di affrontare una composizione, e stavolta io ho voluto offrire loro la possibilità di dimostrare di essere interpreti straordinarii e al tempo stesso di dargli l’opportunità di spingersi in dimensioni che normalmente non frequentano».

Per  Metheny quali dimensioni hanno raggiunto? «Il Los Angeles Guitar Quartet ha sempre avuto una grande bravura nel rendere popolare l’approccio del pubblico con la loro formazione. Quattro chitarre possono avere un sound così ricco da far sembrare straordinarie anche alcune composizioni che potrebbero essere tutt’altro che straordinarie, e per loro questa è la regola, tanto più con l’inserimento di una chitarra a 7 corde che dà una sonorità più ampia, un respito maggiore. E quanto alla scelta del lavoro di Arvo Pärt, negli ultimi dieci anni o giù di lì il compositore estone ha conquistato il pubblico occidentale: impossibile evitare di affrontare una delle sue opere, che è una composizione per pianoforte ormai conosciutissima. Io me la sono immaginata suonata su una chitarra a 42 corde, l'ho incisa e l’ho inserita come bonus track nel disco perché mi è sembrata un modo interessante, dopo i brani di Road to the Sun e il solo di Vieux, per concludere l’album».

Fra pochi giorni il nuovo lavoro discografico del chitarrista americano sarà disponibile sia nei negozi che sulle maggiori piattaforme digitali. Dategli un’occhiata, o meglio sentitelo con attenzione, perché potreste scoprire un lato ancora poco conosciuto dei tanti e forse troppi modi (ma sempre affascinanti) che ha Pat Metheny di affrontare la musica.

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