Lezione di letteratura stregata al premio Strega

Luca Ricci
di Luca Ricci
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Sabato 5 Luglio 2014, 08:21 - Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 14:08
Era un giovane sui trent’anni, il cui ingegno era limitato dalla mancanza d’esperienza. Fece il suo ingresso al Ninfeo di Villa Giulia alle 21 in punto, cos com’era indicato nel suo invito (per riuscire ad averlo aveva mosso mari e monti nella redazione del giornale per il quale saltuariamente collaborava). Poche cose come il Premio Strega, con la sua festosa decadenza, racchiudono l’essenza di Roma. Gli Amici della Domenica, i giurati che di anno in anno sceglievano il libro vincitore, non somigliavano forse a quei patrizi dell’antichità che in Senato ordivano tradimenti e congiure? E che cos’era in fondo la Letteratura, ormai, se non una splendida rovina?



Il giovane si diresse al buffet con impaccio. A ogni passo sembrava quasi chiedere scusa agli altri convenuti per il solo fatto di essere lì, per la sua presenza così poco di spicco. Osservava tutto con attenzione, questo sì, perché avrebbe voluto imparare in fretta come comportarsi in società. La prima cosa che sentì dire fu: “Non sono le case editrici ad avere un ufficio marketing, sono gli uffici marketing ad avere una casa editrice”. La seconda che gli restò impressa invece fu: “Questa moda dei gialli finirà, prima o poi i lettori si annoieranno di scoprire chi è l’assassino”.



Dopo il buffet, il giovane si sistemò al tavolo circolare assegnatogli e subito si mise a studiare i suoi vicini di posto. Tra tutti, quello seduto alla sua sinistra- i loro gomiti si sfioravano- lo incuriosì per l’abbigliamento estremamente elegante, quasi démodé.



“Mi sento così a disagio,” provò a dirgli.



L’uomo- secco e allampanato, quasi austero- accennò un sorriso: “Eh no, amico mio, qui il campione dei pesci fuor d’acqua sono io”.



Cominciarono a parlare fitto, il giovane confessò le sue velleità letterarie.



“E che genere di libri scrive?” domandò l’uomo.



“Non saperei definirli, ogni tanto ne pubblico degli stralci sui social network. Se mi lascia una mail potrei spedirle qualche pagina”.



L’uomo sorrise di nuovo: “Lei scriverà per forza di fantascienza, con tutti questi neologismi. La capisco, sa? Anch’io per evadere dal 1958 uso la fantasia. Ma non è una fuga, intendiamoci. Per capire bene una cosa bisogna guardarla da lontano”.



“Che c’entra il 1958?” ribatté il giovane.



Ma intanto l’uomo si era fatto improvvisamente irrequieto, quasi impaziente, e aveva dovuto alzarsi per andare a salutare qualcuno. Il giovane allora ne aprofittò per sgranchirsi un po’ le gambe, avvicinarsi al palco dove tra poco sarebbe iniziato lo spoglio dei voti, guardare da vicino la lavagna con i nomi dei finalisti scritti con il gessetto. Poi ebbe un’illuminazione. Come aveva fatto a non pensarci prima? Quell’uomo al tavolo era identico a Dino Buzzati, e Dino Buzzati aveva vinto il premio Strega con i “Sessanta racconti” proprio nel 1958.



Corse di nuovo verso il suo tavolo, ma non riuscì più a trovarlo. In mezzo a quella ressa antistante il palco- incastrato tra una contessa e una soubrette- si era come perso. O forse era colpa del caldo, o del famoso liquore. Alla fine incrociò lo sguardo di un cameriere, e disse in una supplica: “Io ero al tavolo 60, dov’è finito il tavolo 60?”.



“Mi prende in giro?” rispose il cameriere. “Al tavolo 60 s’è spezzata una gamba durante i preparativi”.



E gli indicò un modesto cerchio di legno senza tovaglia, poggiato a una delle poche colonne del portico rimaste in penombra.



Twitter: @LuRicci74
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