I luoghi di Buzzati, all’origine del mistero

Luca Ricci
di Luca Ricci
2 Minuti di Lettura
Sabato 26 Aprile 2014, 10:00
Nei primi anni del secolo scorso un bambino scopre la sua sensibilit fantastica grazie ai vecchi mobili di una casa immersa nella campagna bellunese. Passa in rassegna i ritratti degli avi appesi alle pareti (che potrebbero essere le figure di altrettanti fantasmi), è tentato dall’esplorazione della soffitta e del granaio, e ama perdersi nel grande giardino alla ricerca di qualche elfo o folletto. Tra le cose che muovono di più la sua immaginazione ci sono anche il Piave, con le pozze profonde piene di trote e chissà quali altri segreti, e le montagne aguzze della Val Belluna, custodi di leggendarie scalate e rovinose cadute, favole sui boschi, sui pendii, sui ghiacciai.



Quel bambino che ama giocare (iniziando in realtà il suo apprendistato letterario) si chiama Dino Buzzati, il nostro più grande scrittore fantastico del novecento. Più tardi, in un’intervista radiofonica del 1950 sarà lui stesso a ricordare il tempo magico dell’infanzia: “Non è poi così futile come parrebbe la questione del fondo del letto. Certe sere, ci si ficcava completamente sotto le coperte e strisciando tentavamo di esplorare le negre cavità più profonde, là dove dormendo si tengono i piedi e anche più avanti. Ivi sono le massime tenebre senza remissione, così fisse e totali che ci spaventavamo”.



Ora possiamo ripercorrere quei luoghi in “Lassù… Laggiù… Il paesaggio veneto nella pagina di Dino Buzzati” (Marsilio, pag. 208, 22,00 €) di Patrizia Dalla Rosa, la quale si è travestita da cartografa per restituirci attraverso l’analisi di romanzi, racconti e cronache l’universo buzzatiano nelle sue pieghe più recondite. Lettura da abbinare obbligatoriamente al sempre valido “Album Buzzati” (Oscar Mondadori 2006, pag. 392, 14,80 €) a cura di Lorenzo Viganò, dove si ripercorre la vita di Buzzati per immagini associate a stralci d’interviste, pezzi diaristici (anche inediti), lettere. Si scopre così un’esistenza piana, tesa unicamente alla ricerca spasmodica dell’idea buona. L’idea per un romanzo, una cronaca, una pièce, un racconto. Soprattutto questi ultimi resero celebre Buzzati: nel 1955 Albert Camus decide di adattare il racconto “Sette piani” per il Théâtre La Bruyère; nel 1958 il libro “Sessanta Racconti” con 135 voti si aggiudica il Premio Strega.



Per il resto una vita quasi anodina, da colletto bianco del Corriere della Sera (appena assunto a causa della sua rigidità da uomo d’altri tempi in redazione lo chiamavano cretinetti), le prime alla Scala e le arrampicate sulle Dolomiti, le mostre dei suoi quadri (amava definirsi un pittore con l’hobby della scrittura) e un matrimonio a sessant’anni dopo una vita sentimentale tutto sommato non burrascosa, sempre sconfitta dal senso del dovere (l’unica passione tragica viene diligentemente sublimata nel romanzo del 1963 “Un amore”). Insomma c’è poco da fare: il nostro più grande scapigliato, ben lontano dall’essere solo un epigono di Franz Kafka, è stato un cauto borghese di Belluno.



Twitter: @LuRicci74
© RIPRODUZIONE RISERVATA