Jami Attenberg: «Le mie donne coraggiose e sofferenti alla ricerca di vite non convenzionali»

Jami Attenberg: «Le mie donne coraggiose e sofferenti alla ricerca di vite non convenzionali»
di Andrea Velardi
9 Minuti di Lettura
Domenica 23 Settembre 2018, 19:31
 
Jami Attenberg ha presentato oggi a Pordenonelegge il suo ultimo romanzo Da grande in uscita per Giuntina, dove sono stati pubblicati anche lo straordinario successo letterario de I Middlestein (2012), ammirato e sostenuto da Jonathan Franzen, e Saint Mazie (2015).  La vita della protagonista Andrea Bern sembra un fallimento. Tenacemente single, questa inquieta ebrea dell’ Upper West Side, ribelle e vittima, cinica e sensibile, dedita alla sua «permanenza nell’impermanenza», racconta le sue vicende tra i trenta e i quaran’anni, installatasi a New York dopo aver vissuto a Chicago terribili tragedie sentimentali, un esaurimento nervoso ed essere stata vittima anche di una tossicodipenenza di cui subisce ancora qualche strascico, mentre il padre è morto precocemente molti anni prima per una overdose da eroina. Viene accolta e accudita dalla moglie del fratello David, il fratello musicista ora ritirato nel New Hampshire. Greta Johanson, ex editor di una rivista di moda, è presa in giro per la straordinaria bontà manifestata con il titolo di Santa Greta del Lower East Side. Andrea è morbosamente gelosa di lei perchè la madre,  nonostante la rassereni sull’affetto che prova per lei, si è molto attaccata alla famiglia del figlio e alla piccola Siegrid, la nipote affetta da una malattia gravissima che Andrea non ha mai nemmeno osato prendere in braccio.  
 
La protagonista è piena di rimpianti per aver abbandonato la scuola d’arte ripiegando sul mondo della pubblicità, con un lavoro ben pagato, ma noioso e frustrante, di graphic designer trovatole proprio da Greta. Andrea è però un personaggio molto complesso - «Stanca del mondo, stanca di cercare di incastrarti dove non c’è posto per te» -, interiorizza gli eventi e le persone con una tonalità egocentrata, triste, disforica. Paga un alto prezzo per la sua indipendenza mentale, la sua anarchia interiore, la sua fragilità per cui non riesce a diventare “grande”. Jami Attenberg ci tiene a mostrarci il suo romanzo come un libro non melanconico, a descrivere la sua protagonista come «buffa, ironica, spiritosa», a dirci che il romanzo «riguarda la scoperta da parte di Andrea di una sua strada verso qualsiai felicità sia realizzabile in questa vita. Lei ha un lavoro, ha soldi in banca, ha qualche privilegio, che lei riconosce. Ha affrontato molte sfide, questo è vero, e non le ha sempre gestite al meglio. E’ immersa nell’oscurità, ma molte persone si trovano in questa condizione, in particolare gli artisti. Lei è un carattere profondamente imperfetto, complicato, stratificato, con i suoi up and down. Ma il libro si muove verso qualcosa di nuovo. Io credo che Andrea può dare un grande cambiamento alla sua vita».
 
Si potrebbe fare un parallelo con Edie, la protagonista de I Middlestein. Il disturbo alimentare di Edie scoperchia le interconnessioni con i vari membri della famiglia (il cinismo del marito Richard, la mania soffocante della nuora Rachelle, l’alcolismo paradossale della tenera e combattiva figlia Robin che la difende dal padre) e i confliti irrisolti della sua biografia. Da giovane Edie non ha accettato la malattia del padre ed è vittima del mancato riconoscimento del suo ruolo nel mondo. Andrea Bern ha sofferto per la scomparsa prematura del padre per overdose di eroina, ha una madre che ha tentato di sopravvivere a questa tragedia tuffandosi nel lavoro, nell’attivismo politico delle organizzazioni di sinistra, con i tanti amici delle feste del Sabato tanto detestate dalla figlia. Così come I Middlesteins comprendono molte storie in una, così Da grande contiene le prospettive degli amici di questa single prigioniera di una rete di connessioni psicologiche ed emotive con molte persone (la finta famiglia felice di Indigo e Todd col loro figlio Efraim, il fidanzato Matthew). Andrea è, come Edie, è incapace di riconoscere il suo ruolo preciso nel mondo. Un altro possible confronto è con la Mazie Gordon-Phillips del secondo romanzo del 2015. Ambientato nei primi decenni del Novecento, il libro romanza la vera storia di Mazie Phillips, figlia della calsse operaia newyorkese, filantropa dedita ai bisogni dei senzatetto e dei meno abbienti negli anni della Depressione, percorrendo per un ventennio le strade della Bowery, dove si trova il cinema di cui era cassiera e poi proprietaria. Mazie non è però la santa che appare all’esterno, la sua realtà umana è controversa, piena di imperfezioni e difetti per la sua famiglia. Come Andrea, Mazie è determinata a rimanere single, vera cultrice sognante della libertà. Le due protagoniste potrebbero celare una critica allo stereotipo della donna soprattutto quello in una società conservatrice, quello dei microcosmi dell’Illinois in cui Jami Attenenberg ha vissuto la sua giovinezza.
 
L’autrice ci risponde estesamente: «Penso che la connessione sia molto più forte con Saint Mazie che con I Middlestein. E’ un tema molto presente nel mio lavoro quello del modo in cui la società impatta sulle donne si ripercuote sulle donne. Le nostre menti e i nostri corpi sono spesso protetti da un certo insieme di regole, che a noi piaccia o no. Così io sono interessata al tema della libertà nella maniera in cui creo personaggi che a loro volta ricreano le loro proprie regole. Se io tendo a scrivere in senso realistico, qualche volta però cerco di descrivere anche il mondo che io desidero vedere. Anche quando i miei peronaggi sono profondamente limitati e imperfetti, sono sempre anche, e in modo straordinario, onesti e spesso coraggiosi. Mazie in particolare è una donna da ammirare. Io cerco di presentare un ritratto a tutto tondo dell’essere donna, parlo di quello che le donne affrontano in questo mondo, e di come possono avere successo anche se scelgono percorsi non convenzionali». In una intervista al Guardian, Attenberg ha espresso la sua frustrazione per il modo di dipingere le donne nei film, nelle commedie romantiche (romcom) con i loro facili happy end, nelle chicklit, il nuovo genere di romanzo umoristico rosa con teenager per protagonista alla Diario di Bridget Jones o alla Sophie Kinsella. Andrea è una eroina antieroica, quindi in Da grande, c’è veramente la proposta di una donna “umana, troppo umana” fuori da ogni stereotipo sociale.
 
 «Io sto proprio cercando di essere emotivamente onesta nella mia scrittura –  risponde convinta- e  voglio presentare una versione realistica, piena, completa di quello che significa essere una donna. Non voglio metterla in una scatola, ma voglio mostrare come le donne hanno tutte i loro difetti. Però credo che se tu non sei soddisfatto della narrazione della società, la migliore cosa che tu puoi fare è crearne una nuova. Voglio vedere più narrazioni realistiche, ambiziose, sulle donne nella cultura e così cerco di fare questo nel mio lavoro». Torniamo allora ai problemi di questi donne. Mazie realizza se stessa negli anni venti della Depressione Americana nella singletudine (singledom) con una vita filantropica, Andrea invece sembra più in difficoltà negli anni dieci del XXI secolo.  Possiamo scorgere una critica implicita al sistema americano di oggi? «Non sono d’accordo con lei – ci risponde ferma e pacata. Come ho detto prima Andrea non è completamente inadeguata, è un donna contemporanea, ha un lavoro, una famiglia, degli amici, agisce funzionalmente nella società. Mazie e Andrea sono personaggi differenti. E poi Mazie è basato su un personaggio reale, mentre Andrea è totalmente di finzione.  Sono due entità separate.  E mentre Da grande è una storia americana, Andrea è un personaggio americano, l’idea di una donna singola che sceglie un percorso non convenzionale è universale. Ci sono donne dappertutto nel mondo che stanno tentando di costruire nuovi percorsi per se stesse».
 
In questa ricerca rientrano anche le tensioni con il genere maschile di cui si fa carico, anche in maniera controversa, il neofemminismo. Andrea critica la migliore amica Indigo, sposata con Todd, business man di successo, e madre  amorevole del piccolo Efraim, per il suo illusorio investimento sul sogno della famiglia borghese, e infatti il suo matrimonio collassa all’improvviso durante la narrazione. Per lei le donne sono padrone del proprio corpo e della propria mente, ma il potere degli uomini si esercita su di loro perfino con lo sguardo oltre che con le mani e le parole.  Non c’è donna che non abbia alle spalle un episodio di violenza. Risuona la definizione sottile, pericolosa, dibattuta di molestia basata sulla distinzione tra comfortable e uncomfortable relativa proprio anche allo sguardo maschile. Chiediamo alla Attenberg se non veda il rischio che la rivendicazione della dignità femminile, possa degenerare in una guerra mondiale fra generi e lei precisa, per poi chiarire con tenacia: «Il romanzo è stato scritto prima che il movimento #metoo  nascesse nel 2015, per cui non era scritto in dialogo con i temi del neofemminismo, del  #metoo che io però non ritengo pericoloso. Penso si possa sostenere il movimento #metoo e credere ancora nel matrimonio, nelle relazioni sane tra uomo e donna, in entrambe le accezioni di amicizia e storia d’amore. Motivo per cui moltissimi uomini, e non solo le donne, sostengono il movimento.  Qualcuno potrebbe vedere nel #metoo un problema, altri vedono il problema nelle cause del moviemnto cioè che ci sono uomini che hanno moltestato e violato le donne, abusato del loro potere, inflitto contollo sui loro corpi, menti e carriere. Le donne non desiderano quella che lei definisce ‘guerra mondiale tra i generi’, stanno semplicemente richiedendo agli uomini di finirla di essere trattate come una merda».
 
Anche la Attenberg ha provato nella sua carriera cosa voglia dire questa tensione con l’altro genere. Lasciato l’Illinois, ha frequentato la Johns Hopkins University, dove il romanziere Robert Stone, professore di fiction, detestava la sua scrittura suggerendole di darsi alla pubblicistica. Dopo un periodo hippy, è andata a New York alla fine degli anni novanta per lavorare nel mondo della pubblicità e poi ritornare verso la scrittura creative. Se l’uomo Stone l’ha stoppata,  un altro scrittore maschile come Jonathan Franzen  l’ha sostenuta fortmeente al tempo dei Middlestein (anche se qualcuno maligna che anche The Art of Fielding di Chad Harbach ha avuto questo endorsement, ma non ha avuto lo stesso successo di critica e di vendita dei Middlestein). La sua parabola sembra quella contraria ad Andrea Bern. Le chiediamo se si è rispecchiata in lei. Attenberg ricorda che sono stati cruciali per lei «le relazioni con tre editori donna che mi hanno pubblicata negli ultimi tredici anni, per non parlare di altre donne che mi hanno offerto sostegno attraverso critiche, recensioni, lanci, cose molto più cruciali di un professore di college che mi diceva che non avrei potuto scrivere o di uno scrittore maschio che mi ha fornito un lancio da copertina». E alla domanda sulle parentele biografiche con Andrea Bern ci risponde rimandandoci ad un suo articolo sul New York Times del marzo 2017 di cui riportiamo il link ai nostri lettori: https://www.nytimes.com/2017/03/23/books/review/stop-reading-my-fiction-as-the-story-of-my-life.html
 
L'autrice glissa le nostre domande sull’ebraismo americano, l’influenza dell’appena scomparso Philip Roth, la presidenza di Donald Trump e commenta invece un’ultima nostra riflessione sulla differenza tra il suo approccio al romanzo familiare, più empatico, capace di assumere il ruolo e la prospettiva dei diversi personaggi e lo stile più freddo, più analitico, ugualmente complesso, de Le Correzioni di Jonathan Franzen: «I considero da sempre l’empatia come uno dei temi principali del mio lavoro. Talvolta I miei personaggi sono già empatici dall’inizio (il caso di Mazie), altri personaggi invece li pongo io in situazioni dove loro apprendono quest’attitudine così straordinaria. Ma come scrittore, io ho bisogno di sentire, per come posso, un approccio positivo alla storia. E spesso io comincio con dei personaggi che non mi piacciono, e allora scrivo in un modo mio che mi porta ad amarli. Parte degli obiettivi nella mia vita è incoraggiare le persone a essere più comprensive ed empatiche le une con le altre.  Così è un grande dono quando i miei libri vengono pubblicati e le persone possono congedarsi da loro con un sentimento di speranza, di attenzione , di cura per il mondo e le vite degli altri».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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