Ermo colle, Paolucci: «Salviamo il paesaggio dell’Infinito, la battaglia è ancora in corso»

di Fabio Isman
4 Minuti di Lettura
Martedì 1 Aprile 2014, 12:11 - Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 11:06
Si deve salvare il Colle dell’Infinito. Lo conosco bene: un luogo di troppi significati, e intatto, come buona parte dello straordinario paesaggio interno marchigiano, perché l’Italia possa perderlo. Non deve venire adulterato. Del resto, mi pare che la battaglia sia ancora in corso; la sentenza del Consiglio di Stato dice che la soprintendenza dovrà di nuovo esaminare il progetto». Antonio Paolucci è stato, per decenni, soprintendente; poi, anche ministro dei Beni culturali (governo Dini); ora dirige i Musei Vaticani, e pochi quanto lui conoscono la Penisola.



Oltretevere non avrete grossi problemi di tutela; ma il paesaggio italiano, invece sì: vero?

«Fra tutti i beni culturali del Paese, è quello che più è stato manomesso, negli ultimi 50 anni. Ed è la cornice che contiene tutti gli altri beni. Si pensa al Bel Paese, e si pensa a Michelangelo, Raffaello, Pompei, ma inseriti nella bellezza e nell’armonia della natura. La grande bellezza italiana sta lì. E noi abbiamo manomesso una buona parte della sua cornice. Un bel pezzo di un “unicum”. Dobbiamo cercare di porre rimedio agli scempi commessi, e non compierne altri. Per questo, il Colle di Leopardi è fondamentale e va difeso ad ogni costo».



Ma qui, esiste anche un permesso comunale di costruire.

«Per esperienza diretta, dico che spesso i maggiori nemici del paesaggio sono stati gli amministratori locali. Di ogni colore politico. Però è compensibile: a loro, interessa il territorio, e non il paesaggio. E’ una delle poche fonti di reddito. Un museo provoca solo fastidi e costi; invece, il territorio fa guadagnare: il Comune o la Regione, ma anche il privato che magari ti ha eletto, o potrebbe farlo».



Esiste un rimedio possibile a questa orrida spirale?

«Il Codice Urbani dei Beni culturali parla di una leale collaborazione. Ma se non è leale, che si fa? L’ultima parola, chi la dice? Io credo che il primato non possa spettare che allo Stato unitario; al soprintendente. Se no, il tanto ribadito primato della tutela, salta».



Berenson diceva che l’Italia sarebbe rimasta bella finché fosse rimasta povera: è così?

«Con il suo squisito cinismo preraffaellita, lo spiegava negli ultimi tempi della sua vita. Ricordando quando, negli Anni 50, su un ciuchino, andava da Foligno a Montefalco, a vedere gli affreschi di Benozzo Gozzoli. Lì, non possiamo tornare. Ma dobbiamo essere consapevoli delle straordinarie bellezze che si sono conservate, e il Colle di Recanati è tra queste, per salvare almeno le reliquie e le memorie».



Il soprintendente delle Marche Stefano Gizzi, ma anche il ministro Dario Franceschini, sono chiari: permetteranno soltanto un restauro conservativo della cascina che c’è.

«E per fortuna. Sarà reazionario, ma io penso che si deva tornare a dare forza ai soprintendenti. Solo un funzionario che non renda conto ai sindaci o ai governatori di Regione può decidere in ultima istanza. Applica l’articolo 9 della Costituzione, e basta».



Ma per questo occorre una riforma legislativa?

«Sì, anche se quanto dico non piace a nessuno. Restituire potere alle soprintendenze non va a genio a Matteo Renzi, e l’ha detto, né a Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona. E per ragioni, dal loro punto di vista, validissime. Però, o si fa così, o del paesaggio italiano si salverà ben poco».



Basta vedere il parcheggio del Mercatale a Urbino, no? Ma lo scempio peggiore che lei ricordi?

«Il Mercatale ha stravolto la Data: luogo bellissimo. Ma è ancor peggio quanto è successo al Lido di Adriano, vicino a Ravenna: devastata una zona di pinete e paludi, per trarne un ghetto, dove poi non va nessuno. Le Coste sono sempre le più appetite, e penso alla Sardegna. Ma anche le montagne: con gli impianti sciistici, giunti dappertutto, c’è poco da scherzare».



E le bellezze, i luoghi invece intatti?

«Io sono nato a Rimini. La costa marghigiana è stata assai distrutta, vilipesa. Ma appena la lasci, e vai all’interno, nelle valli del Marecchia, del Conca, dell’Esino, o del Tronto, tutto cambia. Ogni valle è diversa dall’altra, per modo di parlare e gastronomia, paesaggi e cultura. E se le città antiche sono state cinturate da orride periferie, le valli si salvano ancora: sono intonse. E proprio il Colle dell’Infinito è un frammento di questo paesaggio mirabile. Lasci la costa, vai nella Valle del Marecchia, e ritrovi il paesaggio di Piero della Francesca: lo stesso del Dittico che è agli Uffizi, che ora una strada vorrebbe adulterare. Il Colle di Leopardi, e le Marche, vanno assolutamente salvate; sono dei lacerti del poco che ancora ci resta».