Cosmo live a Roma: «La mia musica? E' una risposta a una società che non dà prospettive»

Cosmo durante un concerto
di Alessandro Di Liegro
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Giovedì 5 Aprile 2018, 15:02 - Ultimo aggiornamento: 16:15

Giovedì e venerdì, all'Atlantico Live a Roma, Cosmo – nome d'arte di Marco Jacopo Bianchi, polistrumentista e producer eporediese - porterà il suo Cosmotronic tour, un party, più che un concerto, in cui le due ore di live, con in scaletta alcuni dei suoi brani più famosi, saranno accompagnate da dj set pre e post concerto, con ospiti speciali per una festa fino alle prime luci dell'alba.

Cosmo, pronto per il prossimo sold out?
«Sì, il tour sta andando bene, tutte le date fatte finora sono andate sold out».

Cos'hai in serbo per il pubblico romano?
«Il nucleo principale del mio concerto è il live, che dura un paio d'ore. Prima e dopo, però, ci saranno dj e producer che fanno musica elettronica di qualità, ballabile. A Roma l'ospite sarà Hugo Sanchez, un “autoctono”, un dj molto underground e superfigo di Roma. Organizza spesso serate matte, “Tropicantesimo” al Fanfulla, per 8 ore di seguito. L'ho visto suonare una volta e mi sono innamorato della sua musica lenta super travolgente. In apertura c'è un ragazzo del collettivo di Ivreatronic, si chiama Enea Pascal. In chiusura poi capita che vado anche io sul palco a fare i vocalist per i dj, insomma, è un piccolo festival di elettronica».
 

 


Non il solito concerto/vetrina dell'artista, insomma. È una scelta coraggiosa, com'è nata?
«Me lo chiedo anche io alle 6 del mattino. Il concept è molto sullo stile clubbing, voglio smarcarmi da queste categorie che mi hanno sempre affibbiato, sai, l'indie, che non significano niente. Rispetto alla canzone italiana volevo essere più borderline. All'inizio del tour mi sono chiarito in testa una cosa: la musica non è solo cantare canzoni, io ascolto molta musica strumentale, nel disco ci sono anche pezzi strumentali, di elettronica pura. Questa commistione di generi l'ho voluta portare nei concerti e nella serata nella sua totalità. Mi piace dirottare le persone, attraverso le mie canzoni, verso musica nuova. Portare la gente a sbirciare attraverso la serratura un altro mondo musicale che molti poi arrivano ad apprezzare».

Nella nota stampa c'è scritto che il concerto sarà “un viaggio saltellante nel Cosmo pensiero”. Qual è il Cosmo pensiero, su cosa si basa la tua poetica?
«È un misto di vitalismo e nichilismo, di disillusione e amore per la vita, un gioco di contrasti. L'identità è qualcosa di fittizio, anzi, è relazionale, è qualcosa che emerge attraverso le contraddizioni. Mi piace portare anche questo nella musica. Mi piace organizzare feste anche se sono un padre di 36 anni sposato con due figli. Mi piace mischiare elementi contraddittori anche nella musica e nei testi. È una spinta che parte come atto di resilienza, che parte dalla disillusione e non dal pessimismo, ma dalla consapevolezza cinica della realtà, verso uno slancio che, da questo non senso, porta a un'amore per la vita perché è unica».

Disillusione e cinismo sembrano tratti della poetica trap. Cosa ne pensi?
«Mi sento vicino alla poetica trap, anche se sono di una generazione precedente. Se devo dire quello che ho ascoltato ultimamente di italiano è la trap, lì trovo ispirazioni sulla poetica. È una generazione che nell'orizzonte dello status quo non problematizza, ma relativizza la realtà dicendo: noi siamo un prodotto e rispecchiamo la società. Io che faccio parte di una generazione precedente, magari uso lo stesso nichilismo ma con malinconia. Per loro si trasforma in un fanculo».

La musica è lo specchio della società, come nei tempi dei cantautori.
«In questo racconto c'è un tipo di società che ha esaurito tutte le possibilità e si vende come ineluttabile. L'atmosfera è quella lì. È difficile porre resistenza a questo mondo che ha prospettive nel futuro ai minimi storici. Si parte da questo dato di fatto soggettivo e tiriamo fuori un racconto in modi diversi. Io ho un substrato sociale più antagonista. Il ragazzino che fa trap non crede in niente. Io nella loro musica e nelle loro parole ci trovo verità».

Questi ossimori di cui si nutre la tua musica ti influenzano di più nella composizione o nella scrittura?
«In entrambi in realtà.
La scrittura di testi non fa mai a meno del radicamento musicale. Inizio sempre prima a produrre il suono, il beat, finché suona o produce un'armonia che mi emoziona o trovo un'idea che mi piace. Poi inizio a scrivere. In “Tristan Zarra”, per esempio, è un pezzo politico in cui la stessa struttura è cinica, ironica, stupida o demenziale. C'è un viaggio musicale che strizza l'occhio al dadaismo. Così come quando ho composto “Turbo” sono partito da campione mediorientale e poi mi sono accorto che stavo usando una compilation di musica libanese. Lì mi sono fermato a pensare e mi è venuto in mente tutt'altro. Là vicino c'è la guerra, che facciamo un po' finta di dimenticare. È l'ombra della realtà che ti bussa alla porta».

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