La suggestiva interpretazione di Cacciari, che ha tenuto inchiodati alle poltrone dell’Auditorium di Foligno, per oltre un'ora e mezzo, i numerosissimi partecipanti all’evento (e molti altri sono rimasti fuori), intenderebbe risolvere il dilemma. L'appassionato discorso di Ulisse sarebbe a sua volta ingannevole: rifletterebbe la retorica negativa, dell’Aristotele “fisico”, di un'ansia di conoscenza infelice e irrisolta, laddove l'Aristotele “etico” si fa portavoce dell’idea di una conoscenza felice, ottenuta passo dopo passo, approdo dopo approdo.
Ulisse, nell’orazione che gli ha messo in bocca Dante, pronuncerebbe «parole vere», ma dai contenuti palesemente falsi. «È la suprema retorica, è la retorica più alta, la retorica più diabolica, la retorica più perfetta», ha concluso Cacciari.
L'aristotelismo dell’Ulisse che esorta i suoi compagni è allora a sua volta un ingannevole cavallo di Troia, e l'intento di Dante è di ammonire il lettore sulla via da seguire per attingere il vero sapere, in accordo con la volontà dell’«ente sommo» che guida le azioni umane. «Il nostro desiderio di sapere», questo il messaggio dantesco, «può contentarsi in sé, ma a patto che comprenda il suo legame con l'etica, il suo legame con l'anima». A patto che comprenda, insomma, «il suo limite».
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