La prima è l'approvazione del nuovo Regolamento europeo sulla privacy.
«Il regolamento enterà in vigore a maggio 2018 e avrà un impatto diretto sulla vita delle imprese, della pubblica amministrazione, dei cittadini e delle redazioni. Il diritto alla privacy è stato sancito nel 95, con una stretta alla circolazione dei dati dopo l'attentato alle Torri gemelle, ma il trattamento era disomogeneo. Ora c'è un regolamento che tutti i Paesi dovranno rispettare alla lettera».
Altra novità è il diritto all'oblio.
«Un tema molto frainteso. Alcuni sostengono la necessità di un colpo di spugna, per far sparire tutto ciò che è scomodo, mentre alcune sentenze della Cassazione impongono la corretta archiviazione delle notizie affinché non vi siano buchi neri nella ricostruzione di una vicenda. Diverso è per i motori di ricerca, che sono aggregatori di contenuti altrui: per questo motivo è possibile chiedere una diversa indicizzazione o la rimozione di un link».
Come si comporta l'Italia in tema di privacy?
«La nostra authority per la protezione dei dati è un modello di eccellenza in Europa, grazie al buon lavoro del parlamento su cui si è innestata la condotta illuminata del garante che tramite istruttorie e campagne di sensibilizzazione ha fatto in modo che venisse applicata soprattutto nei settori più deboli come i social network».
Si può migliorare?
«Sì, con una maggiore collaborazione tra tutti gli operatori che compongono la filiere dei contenuti in rete. Prendiamo come esempio la legge cyberbullismo: impensabile assicurare che un post diffamatorio possa essere rimosso dal web entro ventiquattr'ore. Ma se garante, polizia postale e rete lavorano insieme il contrasto può essere efficace».
Il problema della rete è la mancanza di filtri.
«Infatti. E l'utente sprovveduto ne fa le spese, condividendo non notizie ma bufale. La mia proposta è: abbiamo oltre 100 mila giornalisti, perché non firmano i loro articoli in rete anche con numero di tessera professionale? Sarebbe una sorta di bollino di qualità e di fedeltà alla deontologia. E poi i colossi del web dovrebbero cominciare a orientare la selezione delle notizie secondo criteri di affidabilità. E non con algoritmi che contano solo i click».