Proserpina, la dea rapita che diede il ritmo alle stagioni

Proserpina, la dea rapita che diede il ritmo alle stagioni
di Alessandra Necci
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Giovedì 18 Aprile 2024, 06:55

«Quisquis humi pronus flores legis, inspice saevi me Ditis ad domum rapi». «O tu che, chino a terra, raccogli fiori, guardami mentre vengo rapita (e portata) nella casa del crudele Dite». In un distico, Maffeo Barberini - futuro papa Urbano VIII - sintetizza così l’effetto provocato in lui dal gruppo marmoreo scolpito fra il 1621 e il 1622 per il cardinale Scipione Borghese da Gian Lorenzo Bernini. Ovvero Il Ratto di Proserpina. Sempre Urbano VIII parlerà del grande scultore (nonché architetto, pittore e commediografo) del Barocco come di un «Huomo raro, ingegno sublime, e nato per disposizione divina, e per gloria di Roma a portar luce al secolo».


“Luce”, appunto. Che si contrappone all’ombra. Ma a volte si mescola a essa. Come accade nella vicenda di Proserpina, creatura di solare grazia che viene trascinata agli Inferi dal più tenebroso degli dei. Fra i molti capolavori del Bernini - che annoverano il busto del duca Francesco I d’Este e Apollo e Dafne - il Ratto di Proserpina, esposto alla Galleria Borghese di Roma, è particolarmente emblematico per bellezza e pathos. Raffigura l’implacabile Ade - Plutone per i Latini - che stringe a sé Persefone - Kore o Proserpina - mentre alle sue spalle Cerbero dalle tre teste veglia affinché nessuno si interponga. La fanciulla ha la bocca spalancata in un muto grido e gli occhi colmi di lacrime mentre si divincola, ma lui la serra in una morsa ferrea, tanto che le sue dita, con un effetto stupefacente, affondano letteralmente nel fianco di lei. Sembra si tratti di carne, non di marmo.
Non sorprende che Bernini sia stato così ispirato dalla vicenda. Quello di Persefone è uno dei miti più evocatori dell’antichità. Ne hanno scritto Omero, Ovidio, Goethe, Tennyson. La ragazza è figlia di Demetra (Cerere per i Latini), dea delle messi, della natura, dell’agricoltura, della fertilità. Ed è anche figlia di Zeus (Giove), nonché nipote di Ade. I due, al tempo stesso, sono fratelli di Demetra: gli incesti sembrano assai diffusi, nella mitologia. Persefone vive felicemente in Sicilia con la genitrice e trascorre idilliache giornate raccogliendo fiori con le compagne. A un certo punto, però, Ade la vede e decide di rapirla. Ricorrendo a un trucco: fa spuntare un meraviglioso narciso sul prato e lei, affascinata, tende la mano. Appena lo coglie, si spalanca dalla terra una voragine da cui esce un carro dorato, trainato da due cavalli. Sopra c’è il dio dei Morti, che si impadronisce di Kore (“fanciulla”) e la trascina con sé. Diverse sono le località in cui potrebbe essere avvenuto l’episodio: fra esse Siracusa, Enna, Vibo Valentia ed Eleusi.

La sera Demetra, che ha aspettato invano il ritorno della figlia, comincia a preoccuparsi. E si mette a cercarla assieme ai suoi servitori. La cerca per giorni, settimane, mesi, ma Persefone sembra scomparsa nel nulla. Presa dalla sua tremenda sofferenza, la dea smette di far crescere il grano e la frutta, per cui gli esseri umani muoiono di fame. Dopo molto tempo, forse mentre si trova a Eleusi (non a caso è legata a quella città e ai culti che lì hanno luogo, i Misteri eleusini), le viene riferito ciò che è accaduto. Secondo alcune versioni è il Sole, Helios che vede tutte le cose, a renderla edotta. Lei si infuria con Ade e Zeus, che deve essere stato consenziente. Non torna sull’Olimpo ma continua a vagare, «suscitando sulla terra un grandissimo male». Inutilmente il fratello tenta di farle cambiare idea: tornerà ai suoi compiti solo se riavrà la figlia. Alla fine Zeus cede e invia Hermes da Ade per fargli lasciare Persefone. Pur tuttavia, esiste una condizione ineludibile. La ragazza non deve aver mangiato nulla, perché chi tocca il cibo dei morti è legato per sempre al loro regno. Lei assicura di non aver toccato nemmeno una briciola, ma le cose non stanno esattamente così. Subdolamente, lo sposo le ha offerto un melograno. E Persefone ne ha ingerito di nascosto 6 chicchi. O forse lo ha colto da un albero e Ascalafo, giardiniere di quei tristi luoghi, lo ha riferito al suo padrone. Per punizione, Demetra muterà il delatore in barbagianni.

Ma la figlia potrebbe non rivedere più la luce.

Celebre è il dipinto del preraffaelita Dante Gabriel Rossetti, dove lei tiene in mano il famigerato melograno, simbolo di abbondanza, fertilità e sangue. È Zeus, alla fine, a trovare una soluzione. Persefone passerà sei mesi nell’oltretomba dallo sposo e sei sulla Terra dalla madre. Sarà tremenda regina dell’Ade per un periodo e tenera fanciulla per un altro. Demetra festeggerà ogni anno il ritorno dell’amata Kore facendo fiorire alberi e piante. E dando così inizio alla Primavera. Colei che, come canta Fabrizio de André, «ha le labbra di carne e i capelli di grano». Poi arriverà la soleggiata Estate, quando si raccolgono le messi e i frutti. Alla partenza della ragazza, però, le foglie cadranno dagli alberi e giungerà l’Autunno. Dopodiché arriverà il gelido e spoglio Inverno. Ma il ciclo delle stagioni ricomincerà sempre. Perché nella storia di Persefone si intrecciano morte e rinascita, tenebre e luce. Come in quella di molti esseri umani.

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