Marmi Torlonia, odissea di tesori senza una casa

Marmi Torlonia, odissea di tesori senza una casa
di Pasquale Chessa
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Domenica 2 Maggio 2021, 09:59 - Ultimo aggiornamento: 17:22

Quella luce culturale che la pandemia ha spento rigettando nel buio i Marmi Torlonia, con la riapertura dei musei illumina di nuovo la mostra pensata da Salvatore Settis, gran maestro dell'archeologia spettacolo, nel pianterreno di Villa Caffarelli a Roma (è in cartellone fino al 29 giugno). Non sarà per molto, però. Presto le 91 statue, un po' sbiancate dal restauro che ha eliminato la patina antica, lasceranno il Campidoglio per il Louvre di Parigi e poi, dopo aver attraversato l'Atlantico e gli Stati Uniti, approderanno sul Pacifico nelle lussuose sale del Paul Getty Museum di Los Angeles. Seppur provvisoriamente, sarà così smembrata la più grande collezione privata di antiche statue romane, 618 in tutto, raccolta nella seconda metà dell'Ottocento da Alessandro Torlonia, l'homme á l'argent citato da Stendhal, «quer prencipe che spenne li mijoni» per Gioacchino Belli.

Le altre 527 statue, rimarranno infatti negli umidi garage di via della Lungara, quasi abbandonate là dove le aveva accatastate l'ultimo dei principi Torlonia, anche lui Alessandro, che negli Anni Sessanta aveva trasformato il Museo ereditato dal suo avo, con la scusa di restaurare il tetto, in più di novanta appartamenti di pregio. Nel catalogo di Settis la vicenda è rimossa, quindi censurata.

LE IMMAGINI
Verso la fine degli Anni Settanta, mentre infuriava la polemica sulla speculazione Torlonia, e dalle colonne del Corriere se ne chiedeva l'esproprio, sono riuscito a fotografare la collezione nascosta per l'Espresso. Non fu semplice. Il principe, che aveva in gran dispetto i giornalisti, mi fece sapere che lui avrebbe trattato solo col principe Caracciolo. Proprietario del giornale, Carlo Caracciolo, non senza ironia, assolse a puntino il compito. Lo scoop ebbe risonanza internazionale. Giulio Carlo Argan, lo storico dell'arte allora sindaco di Roma, cercò di comprare la collezione. Nel tempo ci provò anche Silvio Berlusconi, primo ministro. E poi Vittorio Sgarbi quando era sottosegretario.

Dopo tanti insuccessi, grande è quindi il merito del ministro Dario Franceschini per essere riuscito a trovare un accordo con gli eredi Torlonia, con l'idea di restituire la collezione nella sua interezza al pubblico. La mostra di Villa Caffarelli, infatti, dovrebbe essere il primo passo di un progetto ambizioso che prevede la creazione di un nuovo museo. Ma sembra che i solai di Palazzo Silvestri Rivaldi, vicino al Colosseo, non siano adatti a sostenere il peso di seicento statue. L'importanza della Collezione Torlonia, non risiede infatti solo nel valore artistico dei singoli pezzi, seppure eccezionali come il bassorilievo che rappresenta il Porto di Traiano piuttosto che la monumentale Hestia (Vesta), ma invece nella sua natura storica di collezione, una «collezione di collezioni», nella quale confluiscono tante storie, storie del gusto e del potere, del mecenatismo e del restauro.
Figlio di Giovanni Torlonia, un parvenu fra la nobiltà papalina, nipote di Marin Tourlonias, il capostipite, arrivato a Roma nel 1750 al seguito di un prelato discacciato da Luigi XV, forse spia degli spagnoli, diventato presto Marino dopo aver aperto un negozio di tessuti e un piccolo banco di pegni a piazza di Spagna, Alessandro Torlonia nobilitato principe, con la sua raccolta di marmi romani ha tramandato non solo la sua immagine di banchiere del papa, ma anche la sua straordinaria figura di valente collezionista.

LE CONDIZIONI
Le foto pubblicate dall'Espresso nel gennaio 1979, che tramandano lo stato deplorevole della collezione allora, trovano conferma nelle foto realizzate dai Beni culturali che vediamo nel servizio di John Pedeferri, in onda oggi e domani su Skytg24, che riapre la polemica sui marmi Torlonia. In un esaustivo podcast (Trafug'arte) che si può ascoltare sul sito Skytg24.it, preoccupa la testimonianza della senatrice Margherita Corrado, transfuga Cinquestelle, che sull'affare Torlonia ha già firmato due puntute interrogazioni: «Si parla con un'insistenza di un tour mondiale della mostra, trattata come un pacco postale, invece che delle sole due sedi selezionate all'inizio, peraltro entrambe discutibili, sul piano dell'opportunità, trattandosi del Louvre che non presta i suoi capolavori all'Italia e fino al 97 acquistava anche sul mercato illegale e del Getty Museum che in anni recentissimi ha brigato per acquistare ed esportare negli Usa parte della collezione Torlonia». Secondo lo storico Vittorio Sgarbi, per salvare la collezione la soluzione è lapalissiana: «Lo Stato deve dire ai Torlonia: preso atto della vostra disponibilità, compro tutto... sarebbe l'unica soluzione... per una somma che potrebbe aggirarsi sui 250 milioni di euro». Già, è ancora un affare di «mijoni», come aveva capito il Belli.
 

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