Dieci anni fa moriva Nino Manfredi: l’eredità di un gigante

Nino Manfredi
di Gloria Satta
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 4 Giugno 2014, 10:56 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 17:51
Tutti noi, e parlo degli attori della mia generazione, siamo debitori di Nino Manfredi: ci ha insegnato quanto importante fare un cinema popolare, dice Edoardo Leo. «E non significa di serie B, bensì profondamente radicato nella nostra cultura e capace di rendere comprensibili temi serissimi, sia pure deformati dalla lente della comicità».






Quarantadue anni, romano, una carriera ventennale come attore, sceneggiatore e regista benedetta dall’impennata dell’ultima stagione (grazie a successi come Smetto quando voglio di cui si farà il sequel,Tutta colpa di Freud, La mossa del pinguino, Ti ricordi di me, Pane e burlesque), Leo è stato scelto dalla famiglia Manfredi come testimonial dell’omaggio itinerante “Nino!”, lungo tutto l’anno, organizzato per celebrare il decennale della morte del grande attore che se ne andò il 4 giugno 2004, a 83 anni.«Ciociaro internazionale», come amava definirsi, era nato a Castro dei Volsci il 22 marzo 1921.



«La memoria collettiva», dice Leo, «non può permettersi di dimenticare questo gigante. La sua carriera è stata un viaggio esemplare tra commedia e dramma, contenuti alti e bassi, poesia e barzelletta, Dio e l’uomo, Girolimoni e Geppetto, favola e incubo».



L’INCONTRO

Nino e Leo, che come il grande attore si è messo a recitare dopo essersi laureato a pieni voti (in legge Manfredi, in lettere Edoardo), s’incontrarono nel 1998, sul set del film Grazie di tutto diretto dal figlio di Manfredi, Luca. «Ma io lo ammiravo fin da bambino e mai avrei immaginato che un giorno avrei avuto l’onore di fare da testimonial al suo ricordo», spiega Leo. «Ho studiato tutte le sue interpretazioni, le ho vivisezionate alla ricerca dei suoi segreti. Confesso di aver provato a copiarlo...». Cosa lo colpiva tanto? «La sua tecnica impressionante, la capacità speciale che aveva Nino di gestire il corpo. Sembrava così naturale, sullo schermo, in realtà le sue interpretazioni erano il frutto di uno studio meticolosissimo ispirato alla tecnica dell’Actor’s Studio. Era un bell’uomo ma all’occasione sapeva imbruttirsi, diventare goffo, dimesso o sgradevole. Per entrare in un personaggio, osservava anche il comportamento degli animali... Solo una padronanza estrema della tecnica può farti passare con la stessa efficacia da Rugantino a Brutti sporchi e cattivi».



I COLONNELLI

Sul set, sedici anni fa, il giovane Edoardo guardava il mostro sacro a bocca aperta. «Ed era una lezione continua. L’insegnamento più grande è stato il suo talento trasversale. Manfredi ha affrontato con successo tutti i generi e tutte le prove: la commedia, il dramma, la regia, il musical, il cinema, il teatro». Secondo Leo, un aspetto differenzia Manfredi dagli altri “colonnelli” della commedia Sordi, Gassman, Tognazzi: «Nino tendeva più degli altri a nascondersi dietro i ruoli, era più interprete che personaggio».

Il giovane attore e regista conserva affettuosamente una foto che lo ritrae insieme al “maestro”: entrambi fanno la linguaccia al fotografo, «è l’espressione dello splendido disincanto di Nino», spiega Edoardo. Ma perché oggi è stato scelto proprio lui (a giorni sul set della nuova regia, Noi e la Giulia) come testimonial dell’omaggio? «Mi ricorda tanto mio marito», risponde Erminia Manfredi, vedova dell’attore. E’ anche l’instancabile promotrice del progetto “Nino!”: «Mi auguro», dice, «che faccia rivivere la grande energia di Manfredi, esempio di disciplina e coerenza per i giovani di oggi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA