Per un anno si sono finti rappresentanti di una società titolare di una nota catena di supermercati per ordinare a decine di ditte alimentari ingenti partite di prodotti che non pagavano e rivendevano sul mercato nero. Un raggiro ben studiato scoperto però dai poliziotti del Decimo distretto Lido e dai colleghi del Terzo distretto Fidene Serpentara che hanno arrestato tre uomini e denunciati altrettanti a piede libero e che in un anno avrebbe fruttato circa ottocentomila euro. Nello specifico si tratta di tre italiani, due di 58 e uno di 60 anni. L'indagine era nata un anno fa, dopo che una delle società raggirate aveva presentato a Ostia la prima denuncia. Al titolare qualcosa non tornava.
I protagonisti
Il comportamento dei tre aveva sollevato dubbi e qualche sospetto. Così l'uomo si era rivolto agli agenti che avevano immediatamente avviato le prime verifiche. Nel corso delle indagini era emerso come i truffatori avessero replicato in modo perfetto i timbri della società proprietaria della catena di supermercati, assolutamente ignara di tutto, che servivano per emettere fatture false e fornendo alle imprese alimentari anche tre numeri di telefono. Uno corrispondente effettivamente al fax dell'azienda inconsapevole a cui non rispondeva mai nessuno e gli altri due intestati a cittadini stranieri non residenti in Italia. La banda lavorava servendosi esclusivamente di mail con loghi falsificati dell'azienda, attraverso le quali contattava i fornitori, concordando il prezzo e il quantitativo della merce. Una volta presi gli accordi, i truffatori fissavano il giorno, l'orario e il luogo della consegna della fornitura. Di solito il parcheggio di un'area industriale in zone periferiche della Capitale oppure a ridosso di centri commerciali che ospitano anche uno dei supermercati della catena. Ad aspettare il corriere con il tir pieno di merce c'era sempre un furgone sul quale venivano caricate le derrate alimentari per poi essere trasferite in un deposito poco lontano.
Qui rimanevano solo poche ore, il tempo necessario per ricaricarle su altri camioncini e rivederle illegalmente sul mercato nero a prezzi stracciati e qualche volta anche ai titolari di negozi che, ignari della truffa, erano convinti di essere riusciti a strappare un prezzo di favore.