Desirée, la testimonianza dell'amica al processo: «L'avevo messa in guardia»

Desirée, la testimonianza dell'amica al processo: «L'avevo messa in guardia»
di Adelaide Pierucci
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Sabato 25 Luglio 2020, 08:27 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 15:14

Si cercano nuove prove, in particolare impronte digitali. La III Corte di Assise, chiamata a giudicare i quattro giovani africani accusati di aver stuprato, drogato e lasciato morire di overdose Desirée Mariottini, ha disposto, su richiesta delle difese, l'esame dattiloscopico sulle scatole delle medicine trovate nel palazzo del crack e nella borsetta della sedicenne di Cisterna di Latina. Un accertamento che potrebbe rivelarsi cruciale proprio per stabilire se e da chi siano stati maneggiati i contenitori. Anche se, come sta emergendo dal processo, lo stabile occupato dai pusher in via dei Lucani era un crocevia di sbandati e tossicomani che volevano acquistare e consumare da soli o in gruppo qualsiasi tipo di droga. Anche il giorno in cui Desirée è morta c'era stato un andirivieni di persone che, in alcuni casi, avrebbero messo in allerta la ragazza sulla pericolosità del posto.

LA TESTIMONIANZE
Claudia, romana ed ex tossicodipendente, lo ha riferito alla Corte in veste di testimone: «Ho avvisato Desirée. Le ho detto che era troppo giovane per la droga. Mi era capitato di incontrarla in quel posto più volte. Era stata avviata all'eroina. E ho saputo poi che era capitato pure che girasse con due siringhe nella borsa». Anche Noemi, una trentenne romana che fumava crack e abitava nelle vicinanze, avrebbe messo in guardia Desirée. «L'ho vista la prima volta proprio il giorno della morte, il 18 ottobre di due anni fa. Era mattino. Lei piagnucolava perché cercava droga, ma non aveva soldi. L'ho avvertita: Mi sembri troppo piccola. Lei mi ha risposto che aveva compiuto 18 anni da pochi giorni». Invece, di anni ne aveva solo 16. «Sono andata via all'una e mezza - ha precisato la testimone - Il resto l'ho saputo dopo da Giovanna, un'amica nigeriana che ospitavo. E da Muriel, un'altra nigeriana che è stata interrogata insieme a me in Questura. Giovanna mi ha detto anche di aver saputo che Desirée era stata abusata dopo la morte». La ragazza ha aggiunto di essere fuggita: «Sono andata via da San Lorenzo. Ho avuto paura. In quei giorni sono stata anche minacciata da un italiano. Quando la polizia ha bussato a casa per me è stato un sollievo. Non ho mai voluto né spiegare il motivo, né denunciare». A quel punto la testimone ha pianto a dirotto, tanto da costringere la Corte a sospendere l'udienza. Poi, ha farfugliato che forse era stata minacciata perché aveva ospitato ragazzi di colore. Una versione che però non ha convinto tutti.
La ricerca dei testimoni, intanto, per i pm Maria Monteleone e Stefano Pizza diventa sempre più difficile, tra decessi, overdosi e pestaggi.

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I TESTIMONI
Gianluca R., tossicodipendente romano, una panchina di San Lorenzo come casa, in una delle ultime udienze, quando doveva essere ascoltato, è stato prelevato dai carabinieri e scortato in aula. Aveva tre costole fratturate: era stato picchiato. «Via dei Lucani era la centrale dello spaccio - aveva riferito - Eroina, crack, cocaina. La roba era ovunque. Te la offrivano per venderla. La potevi consumare da solo o in gruppo. Ci sono tornato anche dopo la morte di Desirée ed ho trovato gente. Nemmeno coi sigilli è impossibile entrare in via dei Lucani». Ha raccontato di avere indagato insieme a un amico sulla morte di Desirée «perché era una ragazzina. Volevamo che si facesse giustizia». Ed ancora: «Chi mi ha rotto le costole? Non lo dico». Il processo, incardinato a gennaio e sempre svolto a porte chiuse, vede imputati per omicidio volontario, violenza sessuale aggravata e cessione di stupefacenti a minori quattro cittadini ghanesi e nigeriani, Yussef Salia, Alinno Chima, Mamadou Gara e Brian Minteh. Gli imputati si sono finora difesi sostenendo di non aver provocato loro la morte di Desirée: «Abbiamo consumato insieme stupefacenti, senza intenzione di uccidere».


 

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