Paolo Portoghesi e il suo rapporto con Roma: il ricordo del suo assistente Luca Ribichini

L'infanzia in Centro, la passione per Borromini, lo studio all'Aventino e la residenza a Calcata: l'omaggio al grande architetto scomparso a 92 anni

Paolo Portoghesi e il suo rapporto con Roma: il ricordo del suo assistente Luca Ribichini
di Laura Larcan
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 31 Maggio 2023, 16:31 - Ultimo aggiornamento: 16:35

«Il rapporto di Paolo Portoghesi con Roma? Assoluto. È sempre stato attento a questa città, ha cercato di coglierne lo spirito. Lo faceva da persona radicata nel territorio e nella sua storia». L’architetto Luca Ribichini parla con l’affetto nella voce. È stato allievo del “maestro” Portoghesi, scomparso ieri a Calcata all’età di 92 anni. Con lui si è laureato nel 1989 e da allora è iniziata una fitta collaborazione, tra progetti, studi, corsi alla Sapienza. L’aveva visto appena tre giorni fa, raggiungendolo nella sua dimora incastonata nel borgo viterbese, affacciata sulla valle del Treja: «Dovevamo organizzare un incontro sulle “Città invisibili” di Italo Calvino per il centenario dello scrittore, e lui voleva tanto partecipare. Quello che si deve dire di Portoghesi è che è stato presente e vivo fino all’ultimo istante».

DA BAMBINO

Docente universitario, progettista postmoderno di fama mondiale, teorico, storico dell’architettura, massimo esperto del Barocco, appassionato di Borromini, Portoghesi ha avuto sempre Roma nel cuore. «Da bambino viveva in via Monterone - spiega Ribichini - e questo fatto di essere cresciuto in Centro è uno degli elementi fondamentali della sua formazione, perché ha mantenuto un cordone ombelicale forte con le tradizioni di questa città, riuscendo però a recuperarne la storia per declinarla in chiave moderna.

L’obiettivo è stato quello di esprimere il tempo in cui si vive portando i valori del passato». Portoghesi aveva i suoi luoghi del cuore. Il primo su tutti, Sant’Ivo alla Sapienza, capolavoro di Borromini. «Amava raccontare che quando era piccolo e andava a scuola a piedi, passava sempre davanti alla chiesa di Corso Rinascimento e rimaneva stregato da quella cupola che svettava a spirale. Era così diversa da tutte le altre cupole di Roma che si potevano vedere affacciandosi dal Gianicolo». L’amore per Francesco Borromini aveva queste radici. «Lui era più vicino a Borromini, ne riconosceva la genialità, lo considerava il più simpatico, il più intelligente, e lo amava soprattutto per la sua mancata riconosciuta grandezza, rispetto al Bernini». E non sopportava che la sua tomba a Sant’Andrea dei Fiorentini fosse una sorta di semplice lapide sul pavimento, quasi anonima.

L’ISPIRAZIONE

Un posto dove amava entrare appena poteva era San Carlino: «Un luogo che lo ispirava», continua Ribichini. Il liceo classico e poi la laurea alla Sapienza, nella prima Facoltà di Architettura a livello nazionale, a Valle Giulia, in quel quadrante di Roma che è sempre stato luogo di formazione così come di periodi di libertà e rivoluzione che lo stesso Portoghesi ha vissuto. E da professore com’era? «Aveva la capacità di tirare fuori dai suoi studenti la parte migliore. Un po’ come Socrate. Con lui si sono costruite generazioni di architetti», commenta Ribichini. Tra l’insegnamento alla Sapienza e i suoi studi, Portoghesi ha abbracciato tutta la città. Prima in un bel palazzetto storico di via Gregoriana, a due passi da Trinità dei Monti, poi scelse per il suo studio l’Aventino in via Sant’Alberto Magno, fino poi alle terre etrusche del viterbese, in località Minutello, dove prese un piccolo edificio trasformato in studio.

I PROGETTI

Ma Roma era sempre lì, vivida. «Quando ha costruito la moschea - avverte Ribichini - ha riutilizzato strategicamente il travertino, il peperino grigio, il mattone, il sampietrino classico, il piombo delle cupole di Roma, ha ripreso tutti questi materiali declinandoli in una forma architettonica che esprimesse il suo tempo». Come residenza aveva scelto Calcata, con la moglie Giovanna Massobrio. «L’aveva scoperta già negli anni ‘70, aveva iniziato con una piccola residenza poi sempre più ingrandita dove aveva trasferito la sua biblioteca di 60mila volumi», avverte Ribichini. E qui aveva dato vita, dal 1990, al suo giardino letterario, tra i più suggestivi d’Italia. Il Maxxi ora si fa custode della sua memoria, come annuncia Margherita Guccione: al Museo di via Guido Reni Paolo Portoghesi aveva lasciato tutto il suo monumentale archivio di progetti e disegni, una collezione che parla tanto di Roma. La sua Roma.

© RIPRODUZIONE RISERVATA