Torlonia, il nipote del principe: «L'eredità è regolare, mai escluso mio zio Carlo»

Torlonia, il nipote del principe: «L'eredità è regolare, mai escluso mio zio Carlo»
di Mauro Evangelisti
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Sabato 24 Novembre 2018, 08:16 - Ultimo aggiornamento: 14:24

«È una situazione dolorosissima, contraria alle tradizioni della famiglia Torlonia che nella sua storia è stata sempre votata decisamente al riserbo. La verità è che sta facendo soffrire tante persone. Soffro io in primis».
Alessandro Poma Murialdo, 37 anni, è figlio di Paola Torlonia e amministratore della Fondazione Torlonia. È anche l'esecutore testamentario nominato dal nonno, il principe Alessandro, morto a 92 anni un anno fa. Il patrimonio artistico di esorbitante valore è stato però sequestrato da un giudice, in seguito al ricorso di Carlo Torlonia, figlio del principe Alessandro, che contesta la ridistribuzione dell'eredità con gli altri fratelli (oltre a Paola, madre di Alessandro Poma Murialdo, ci sono anche Francesca e Giulio). Nel ricorso con cui Carlo Torlonia ha impugnato il testamento lancia accuse pesanti, parla di firme del padre falsificate, di opere scomparse, di tentativi di vendere parte del patrimonio per trovare le risorse utili a ricapitalizzare la Banca del Fucino, che fa capo alla famiglia Torlonia. Questo l'antefatto.

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RAPPORTI
Alessandro Poma Murialdo, che è anche presidente della Banca e della Fondazione, respinge però, insieme agli altri familiari, questo scenario. «Non c'è stata alcuna forma di esclusione, mio zio Carlo è stato reso partecipe di gran parte delle donazioni e dei lasciti di mio nonno che, tra l'altro, ha provveduto già in vita a una parte consistente dei trasferimenti delle proprietà, riconoscendo un trattamento equo ai suoi eredi. Per quanto riguarda la collezione Torlonia, a mio zio è andato un sesto delle proprietà. Mio nonno aveva grande interesse a fare le cose con correttezza».
 



Eppure, Carlo Torlonia sostiene che gli era stato proibito di avere rapporti con il padre, gli veniva negato di parlagli anche al telefono. Alessandro Poma Murialdo: «Non c'è stata nessuna forma di impedimento al dialogo tra mio zio e mio nonno. Anzi, è sempre stato mio zio Carlo a disertare la frequentazione della famiglia, anche nelle occasioni più importanti. Anche in ambito societario, durante le assemblee, la sua partecipazione ha rasentato lo zero. I rapporti prima sono stati telefonici, poi si sono limitati alle lettere, per diventare raccomandate e atti, cause, comunicazioni legali. È stato uno dei più grandi crucci di mio nonno avere un rapporto così deteriorato con uno dei figli».

VINCOLI
Ma come esecutore testamentario è certo di non avere commesso errori? Poma Murialdo scuote la testa: «No, no. Guardi, è un'eredità estremamente complessa, ma nella mia attività sono assistito da un pool di esperti. Mio nonno mi ha indicato come esecutore testamentario perché nutriva fiducia in me, c'era vicinanza, sapeva che avrei avuto la capacità di conoscere la sua effettiva volontà». Si è parlato di opere d'arte usate come garanzia per le operazioni che dovevano consentire l'aumento di capitale della banca. «Smentisco categoricamente. Tra l'altro sarebbe impossibile. Il patrimonio è gestito dalla fondazione, costituita espressamente da Alessandro Torlonia nel 2014 perché mio nonno ha voluto garantire una gestione oculata dei beni. Così per 30 anni le opere sono state date in comodato alla Fondazione Torlonia, dividere la collezione sarebbe stato impossibile. L'obiettivo è il mantenimento, il restauro, l'esposizione. Ma la proprietà è comunque degli eredi, la vendita non è possibile. Ed è una fantasia chiamare in causa il Museo Getty, con il quale c'è un normale rapporto di collaborazione come con tante altre istituzioni. Vede, sulla collezione ci sono i vincoli del Ministero dei Beni culturali, ogni spostamento necessita un'autorizzazione delle Sovrintendenze. Nell'autunno del 2019, presso gli spazi di Palazzo Caffarelli dei Musei Capitolini, potrà svolgersi la mostra grazie all'accordo che siglammo con l'allora ministro Franceschini».
Ma davvero non si può tornare a dialogare lontano dai riflettori e dalle aule giudiziarie? «Il punto di non ritorno non esiste mai, ma certo la situazione è stata elevata a un tale livello di parossismo da mio zio che vorranno molti passi indietro per tornare a una posizione di confronto sereno».
 

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