ROMA Ora è in Serbia, protetto da una famiglia, il clan Seferovic, che qui ha le sue radici più profonde. E per il momento non ha intenzione di tornare in Italia, perché il rischio di essere arrestato sarebbe troppo alto. Il fratello di Serif è accusato di aver organizzato con lui, in concorso, l'incendio al camper della famiglia Halilovic costato la vita a tre ragazze che dormivano all'interno. Come è accaduto per Serif, fermato due giorni fa a Torino quando era appena rientrato in Italia, nei suoi confronti non c'è ancora un provvedimento di custodia cautelare o una richiesta di rogatoria internazionale, anche se la polizia serba ha assicurato ai colleghi romani che darà ampia collaborazione alle indagini. Se è vero che, stando alla ricostruzione della Squadra mobile, è stato il giovane Serif a lanciare la bottiglia incendiaria che ha ucciso Elisabeth, Francesca ed Angelica, il fratello gli sarebbe stato sempre al fianco. Insieme i due avrebbero pianificato l'aggressione e, la notte del 10 maggio, sarebbero andati nel parcheggio del centro commerciale Primavera dove la famiglia Halilovic dormiva. Qui, il fratello ha aspettato Serif a bordo di un furgone a motore acceso mentre il giovane lanciava una molotov contro il camper nel quale Romano, la moglie e i nove figli dormivano. Se dovesse essere arrestato, dunque, per il fratello di Serif l'accusa sarebbe la stessa che ora tiene in carcere il ventenne fermato due giorni fa a Torino: omicidio plurimo, tentato omicidio e porto di oggetti incendiari.

LO SCONTRO
Le indagini della Squadra mobile si stanno concentrando su tutta la rete sulla quale i due fratelli hanno potuto contare prima nell'aggredire gli Halilovic e quindi nel darsi alla fuga. Se il vero motivo dello scontro tra le due famiglie non è chiaro (secondo alcuni la famiglia vittima del rogo avrebbe segnalato alla polizia Serif come autore dello scippo subito da Yao Zhang, la ragazza poi morta mentre inseguiva i suoi assalitori, secondo altri i due clan sono in guerra per motivi legati a traffici di oro e preziosi) si sa con certezza che la faida è diventata più cruenta e pericolosa proprio negli ultimi mesi. Prima, in via Salviati, dove inizialmente vivevano entrambe le famiglie, è andato a fuoco un camper di proprietà dei Seferovic.
Poi, quando Romano Halilovic e i suoi si erano già allontanati, sono stati dati alle fiamme due camper della sua famiglia, uno dei quali a La Barbuta. Lo scontro è proseguito anche dopo l'incendio nel parcheggio di Centocelle e la morte delle tre ragazze. Nelle scorse settimane, un nuovo incendio, sempre a La Barbuta, ha colpito una baracca assegnata ai Seferovic e i pm Pierfilippo Laviani e Antonino Di Maio fin dal principio sospettano che anche questo incendio sia collegato alla tragedia di Centocelle.

LA FUGA
La fuga di Serif Seferovic e il fratello non è stata immediata. Dopo aver saputo della morte delle tre ragazze, il ragazzo che era da poco uscito dal carcere per lo scippo nei confronti di Yao (condannato a due anni) ha inizialmente chiesto al suo avvocato, Gianluca Nicolini, di parlare con gli inquirenti: «Quella notte ero con i miei, sono innocente», ha ripetuto. Quando dai magistrati è arrivato un no che lasciava intuire come fosse nella lista dei sospettati, ha cercato di spostarsi. Prima, insieme al fratello ha lasciato il campo di via Salviati. Poi, forse proprio dopo il rogo a La Barbuta di un alloggio dove avrebbero passato qualche notte hanno deciso di scappare e rifugiarsi in Serbia, dove i Seferovic sono potenti e le indagini avrebbero potuto subire almeno una battuta d'arresto. Negli ultimi giorni, però, i due hanno preso strade diverse. Serif ha deciso di tornare in Italia per incontrare la moglie, il fratello ha preferito rimanere oltreconfine. L'udienza di convalida è prevista per lunedì a Torino, quindi il giovane tornerà a Roma per essere sottoposto agli esami esplosivistici e delle impronte. Ma le indagini continuano.