Roma, morto ai Parioli: «Giuseppe non usava metadone: responsabile anche la fidanzata»

Roma, morto ai Parioli: «Giuseppe non usava metadone: responsabile anche la fidanzata»
di Camilla Mozzetti
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Venerdì 4 Maggio 2018, 08:10 - Ultimo aggiornamento: 5 Maggio, 10:32

«La fidanzata di Giuseppe? Una mina vagante, l’aveva conosciuta da qualche settimana nella comunità di Civitavecchia, ha le sue responsabilità perché Peppino non assumeva metadone, non l’ha mai preso neanche a San Patrignano. Il metadone è catalogato come stupefacente e per averlo così o lo compri sottotraccia per strada oppure non ce l’hai se non in una struttura. Non so cosa sia successo, aspetto di capirlo».

Elisa (la chiameremo co- sì) ordina solo un bicchiere d’ac-qua con una fettina di limone in un bar di piazza Bologna. «Se parlo con lei – dice – è perché il papà di Peppino mi ha permesso di farlo». Con Giuseppe De Vito Piscicelli, il giovane di 22 anni morto per un’overdose martedì scorso nella sua casa ai Parioli, questa donna dagli occhi scuri che a tratti si velano di lacrime, ha trascorso 4 anni e mezzo nella comunità di Coriano.

Elisa come vi siete conosciuti con Giuseppe?
«Siamo entrati insieme a San Patrignano, io a maggio 2012 per una dipendenza da eroina e lui un mese prima perché assumeva cocaina. Il nostro mutismo e la nostra onicofagia ci ha legato fin da subito, non eravamo loquaci e nei corsi comuni stavamo sempre vicini. A quel tempo è nato il nostro rapporto, proseguito anche dopo, quando siamo tornati a Roma».

Lei oggi ha un lavoro mentre Giuseppe è morto. Crede che quella giovane, Emma G., lo abbia ucciso? «Questa ragazza inquietante non piaceva alla famiglia ma qualche sera si fermava a casa loro. Si erano conosciuti nell’ultima comunità in cui Peppino era stato e avevano legato. Però lo voglio sottolineare Giuseppe non ha mai seguito delle terapie a base di metadone, assumeva droghe e dopo San Patrignano purtroppo ci era ricaduto, ha chiesto aiuto e per questo è stato nuovamente in terapia in altre due strutture, sono certa che con sé avesse qualche regolatore per l’umore, ad esempio, ma non metadone perché non si faceva tutti i giorni. Nel suo caso, parlo per esperienza, se prendi anche 50 mg di metadone perché qualcuno te lo dà e lo mischi ad altri farmaci è la fine».

La giovane è scappata all’alba lasciando quella scritta «Mi hai lasciato sola tutta la notte, mi vendicherò». Cosa può significare secondo lei?
«Sono convinta che quella ragazza fosse sotto effetto di qualcosa e quello che ha scritto non significa nulla. Quando ti fai, compi dei gesti che non hanno senso».

Occhi chiari, un sorriso inge- nuo e la passione per lo sport. Questo è quello che traspare dalle foto di Giuseppe. Chi era questo ragazzo?
«Io lo chiamavo “Er principe” perché aveva questi modi spontanei di esprimersi che contrastavano in un certo senso con le sua estrazione nobiliare. Giuseppe (i cui funerali saranno celebrati sabato ndr) non era solo un drogato. Era una persona con delle fragilità che non è riuscito ad affrontare. Non lo dico per retorica ma era un ragazzo buono, educato, insieme ci siamo aiutati molte volte. Insieme abbiamo provato a tornare nella normalità. Era una persona pulita».

Cosa lo spingeva a drogarsi?
«Quell’abisso che si portava dentro e che solo a volte riusciva a domare. Era appassionato di sport, voleva iscriversi all’università al Foro Italico dopo essersi diplomato nella scuola di San Patrignano. Dopo il percorso era molto cambiato, quando esci dalla comunità non sei miracolato: devi vivere con le tue fragilità, che sono comuni a quelle di tutti gli altri, ma nelle tue condizioni sono più difficili da affrontare».

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