I SOCCORSI
È la mattina del primo maggio quando la madre di Giuseppe, M. B., imprenditrice, entra nella camera del figlio e lo trova riverso nel letto. A mezzogiorno si accorge che il ragazzo non respira. Chiama il 118. I paramedici si precipitano nell'appartamento, provano a rianimare il ventiduenne. È inutile: i sanitari constatano il decesso. La ragazza viene sentita come testimone. Davanti agli agenti del commissariato Salario-Parioli, è in stato di choc. Prima, dice di non sapere nulla. Poi, racconta di aver tratteggiato la scritta per scherzo, pensando che il fidanzato stesse dormendo. Il verbale viene interrotto e la giovane viene indagata. Le uniche dichiarazioni utilizzabili dagli inquirenti saranno quelle che renderà con l'assistenza del suo avvocato, Enrico Modica.
E. G. ha trascorso gli ultimi giorni con Giuseppe. Da quando lui era tornato dalla comunità di recupero, lei faceva avanti e indietro dall'appartamento ai Parioli. Sul profilo Facebook del ventiduenne c'è ancora una foto di loro due insieme, scattata il 29 aprile. La ragazza sveglia, e Giuseppe al suo fianco che sembra dormire. La battaglia contro la droga li aveva fatti incontrare. La stessa droga che, come sembra emergere dai primi risultati dall'autopsia effettuata ieri dal professor Luigi Cipolloni all'istituto di Medicina legale dell'università Sapienza, avrebbe causato l'arresto cardiaco del giovane. Ogni tanto la sera E. G. si fermava a dormire a casa della famiglia De Vito Piscicelli, imparentata con Francesco Maria, l'imprenditore che dopo il terremoto de L'Aquila rise al telefono, mentre era intercettato, parlando degli affari che avrebbe fatto con la ricostruzione post-sisma. La mattina del primo maggio, la giovane lascia l'appartamento prima delle 8. Gli inquirenti vogliono capire se si fosse accorta che il fidanzato era morto e se sia fuggita. Bisognerà comunque aspettare gli esami tossicologici per stabilire se a uccidere Giuseppe sia stato un cocktail di stupefacenti. Sul corpo, nessun segno di violenza.
IL RICOVERO
Il ragazzo, dopo esser uscito dalla comunità, sembrava aver ritrovato un equilibro. Su Facebook rispondeva così agli amici che gli chiedevano come si sentisse: «Fino a un mese fa stavo a pezzi, ancora ho i brividi ma ne sto uscendo». Appassionato di boxe e rugby, ce l'aveva messa tutta e lo ripeteva agli altri come a se stesso: «Bisogna lottare tutti i giorni, per tutta la vita, per non lasciarsi andare», scriveva sul social il 27 aprile. E sempre sulle pagine web ieri si è riversato il dolore di molti amici. «Sorridiamo sempre alla vita, anche quando pensiamo di non farcela. Chiediamo aiuto quando ne abbiamo bisogno, nulla va mai lasciato al destino. Io ti ricorderò sempre scrive Alessia come la sera di Capodanno. Giovane e bello, gentile e sorridente». Di fronte all'ingresso del palazzo in cui la famiglia De Vito Piscicelli vive da anni, si sono raccolti in tanti. Stretti nel dolore e colmi di rabbia, nessuno ha voluto parlare, soltanto il legale della famiglia ha chiesto il riserbo: «Dobbiamo pensare ai funerali».
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