Il neo vicario/ «Roma ha bisogno di cure, va ricostruito il senso di comunità»

di Cardinale Angelo De Donatis
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Venerdì 29 Giugno 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:13
È trascorso un anno da quando Papa Francesco mi ha nominato suo vicario per la diocesi di Roma, lo scorso 26 maggio, festa liturgica di San Filippo Neri. Una grazia, un onore e anche una grande responsabilità.

Una grande responsabilità a motivo della quale chiedo sempre aiuto al Signore nella preghiera. Un anno in cui la mia vita è profondamente cambiata, dal momento che ora partecipo della paternità del Santo Padre verso la sua diocesi: un dono incommensurabile che vivo nell’ascolto dei sacerdoti e dei fedeli di questa città.

Con le visite pastorali di questo periodo ho avuto conferma della vivacità nella fede che Roma ha da sempre nel suo Dna. Una vitalità che si esprime ad esempio nella singolare capacità di accoglienza di questa metropoli, crocevia di culture e di religioni: basti pensare all’imponente lavoro che la Caritas svolge quotidianamente nelle oltre trecento parrocchie della diocesi, oppure al prezioso servizio prestato dalla Comunità di Sant’Egidio e da diversi Ordini Religiosi. Ho incontrato i fedeli di settanta parrocchie e di una trentina di altre realtà diocesane, ambienti di studio e di lavoro, ospedali e carceri, laddove ho visto tanta santità di gente semplice, creatività e fermento anche riguardo alla spiritualità e alla catechesi per giovani e adulti: proprio in questi giorni ad esempio oltre 20mila bambini stanno partecipando agli oratori estivi in tutta la città. 

Abito a Roma da quasi quarant’anni, dal tempo in cui mi sono trasferito dalla nativa Puglia. Ho assistito alle trasformazioni di questa città alla quale mi sento profondamente legato, cuore della cristianità ma anche periferia. E come tutte le periferie, questa città ha bisogno di cure particolari, di una maggiore attenzione verso chi è in condizione di povertà, verso chi è vittima dell’indifferenza, verso chi è solo e ha smarrito il senso della vita.
Per questo motivo, volendo dare concretezza alle parole di Papa Francesco del convegno diocesano dello scorso anno, in questi mesi abbiamo riflettuto sulle malattie spirituali presenti nella nostra chiesa particolare, per capire cosa freni il dinamismo evangelizzatore, per comprendere le cause per cui i ragazzi prendono le distanze dalle nostre comunità e quali siano le tentazioni degli operatori pastorali. 
Dal confronto e dalla riflessione è emersa l’esigenza di un cammino unitario diocesano che parta dalla preghiera, dalla Parola del Signore, per riconoscersi come popolo di Dio. Viviamo una società, non solo a Roma, caratterizzata da rapidi cambiamenti culturali e da un progressivo individualismo che genera solitudine, incomprensione e disorientamento. Da qui nasce il desiderio di aggregazione, di comunicazione e di solidarietà che deve essere guidato da un percorso di nuova evangelizzazione.

Riconosciute le debolezze e le fragilità ora dobbiamo poterci riconciliare con esse, alla luce della Parola di Dio. Le debolezze, infatti, sono non un ostacolo – sosteneva Santa Teresa di Lisieux – ma anzi un trampolino di lancio per gettarsi nelle mani misericordiose di Dio. Se la povertà non viene guardata attraverso gli occhi di Dio, allora rischia di opprimerci; diversamente, attraverso la Parola ognuno di noi capisce di essere amato da Dio totalmente, così da vedere la bellezza anche nella propria povertà.

Fondamentale è dunque il richiamo all’evangelizzazione, perché una comunità di fede proviene dall’annuncio della Parola e perché il servizio nella Chiesa nasce non dal comune senso di solidarietà ma dalla sequela del Signore, così come ci ricorda Gesù nel vangelo di Giovanni: “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore” (Gv 12,26).

A Roma dal Concilio Ecumenico Vaticano II in poi il richiamo all’evangelizzazione è stato fortissimo e i frutti si vedono ancora oggi. Occorre ora rilanciare l’annuncio della Parola di Dio e l’annuncio della vita eterna, perché ognuno di noi possa avere le giuste chiavi di lettura del presente e possa aprirsi alla speranza.
Come affermava Papa Francesco nell’incontro dello scorso 14 maggio con la diocesi, occorre fare esperienza della misericordia come collante del popolo di Dio, “intraprendere un nuovo esodo che rinnovi la nostra identità, senza rimpianti per ciò che dovremo lasciare”.

Vicario del Papa per la diocesi di Roma
 
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