Mafia Capitale, ecco tutte le minacce di Carminati e soci: «Quello lo uccido»

Mafia Capitale, ecco tutte le minacce di Carminati e soci: «Quello lo uccido»
di Cristiana Mangani
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Sabato 21 Novembre 2015, 02:54 - Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 15:13

Venticinquemila euro di debito e la consapevolezza che la vita si può trasformare in un incubo, tra minacce e intimidazioni. Soprattutto se la persona alla quale i soldi vanno restituiti si rivolge a Massimo Carminati e soci per farsi “dare una mano”.

La procura ha depositato 33 nuovi atti nell’inchiesta Mafia Capitale e li ha messi a disposizione dei legali il giorno dopo l’apertura del mega processo sull’organizzazione criminale che ha comandato su Roma. Sono informative, intercettazioni, verbali, che mirano a far capire quanto la forza intimidatrice del gruppo sia stata fatti e non solo parole. Vittima di turno è l’imprenditore Fabrizio C.: deve dei soldi a Roberto Lacopo, il cui nome nell’inchiesta è associato al Cecato. Ma il denaro non esce fuori, il debitore rimanda, è al collasso, firma cambiali e assegni a vuoto. Finché a giugno del 2013 Lacono si rivolge a Riccardo Brugia, e Fabrizio C. viene convocato d’urgenza alla stazione di servizio-quartier generale di Corso Francia per parlare «de visu».

L’APPUNTAMENTO

L’incontro è tutta una minaccia, l’imprenditore non viene toccato, ma l’aria è brutta. È un omone enorme, prova a tenere testa, sarà costretto a cedere un camion, e chissà che altro.

Riesce comunque a far saltare i nervi a Brugia, il cui soprannome è «spezzapollici», e allo stesso Carminati. Dice il Nero, non appena C. va via: «È un coatto, non l’hai visto, doveva fare il buttafuori in qualche discoteca. A me, poi, sai che mi piace? Mi piace buttarli giù psicologicamente questi. Questo è una merda, se vede proprio. Uno di sti picchiatori che se ritrova in discoteca, capito? Che quando li vedo me ricordo quello che hanno fatto agli amici miei, mi viene voglia di ucciderli tutti (bestemmia). Però so contento, perché Bobo (Lacono, ndr) da solo non va da nessuna parte, non recupera manco trecento euro». Poco prima, Brugia, si era imbufalito. E a brutto muso, per intimorirlo, gli aveva urlato in faccia: «La gente come te che non sa niente... Se mi chiami un’altra volta per cognome, mi alzo e ti uccido. A me, le guardie mi chiamano per cognome».

L’USURA

Nelle conversazioni intercettate torna più volte la dipendenza di Roberto Lacono dal gruppo. Ed emerge l’usura, punto di forza dell’organizzazione. Il Ros individua i prestiti, il percorso che il denaro fa, e come l’organizzazione si comporta per rientrare in possesso della somma, con gli uomini addetti al “recupero credito”.

Se non bastasse, allegato ai nuovi atti, c’è anche la denuncia presentata il 28 settembre scorso, da un uomo che era stato sentito dai carabinieri come testimone. Racconta di essere stato avvicinato, sempre nella stessa stazione di servizio, da due uomini grandi grossi e tatuati. Il più alto gli dice: «Come andiamo? Non ha importanza se ci conosciamo o meno. Tu sei andato a parlare con la polizia. Te devi sapere che sei amico di Roberto, di Giovanni, non pensare neanche di costituirti parte civile. Ti diamo un consiglio noi, tu sei amico di queste persone». Il denunciante cita anche un altro episodio dai contorni poco chiari, e chissà se autentici. Dice che tempo prima, una persona che lui conosce, tale Massimo, gli ha raccontato di essere stato il braccio destro di Ignazio Marino. Gli avrebbe detto anche di alcuni documenti che avrebbero potuto metterlo nei guai». Documenti, però, sui quali non avrebbe saputo fornire altri particolari.

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