IL NODO
Il nodo della questione, per i supremi giudici, sta nel fatto che «l'attività di guida, già costituente il contenuto pieno della prestazione alle dipendenze di Atac, se svolta in favore di altro vettore, peraltro legato ad Atac da un rapporto di appalto, e durante una giornata di congedo parentale, evidentemente finalizzata per volontà legislativa allo svolgimento di attività familiari a rilievo costituzionale, risulta coerentemente valutata dalla Corte territoriale secondo i parametri dell'obbligo di fedeltà e del principio di correttezza e buona fede». Un principio che, per i magistrati, sarebbe stato tradito dal dipendente. Proprio per questo motivo, la Cassazione ha deciso di confermare in pieno quanto stabilito dalla Corte d'appello di Roma nel 2014.
IL FAVORE
I fatti risalgono al 30 aprile del 2008, ma la sentenza definitiva è arrivata solamente ieri. Angelo C., in servizio come autista nella municipalizzata capitolina, durante un giorno di congedo parentale, invece di rimanere a casa aveva deciso di mettersi alla guida di un autobus della società Co.Ra., incaricata da Trambus - poi incorporata in Atac - di gestire il servizio su alcune linee. L'autista avrebbe ripetuto il favore al collega anche una seconda volta: il 28 maggio dello stesso anno. Non avrebbe mai informato i superiori e non avrebbe chiesto nessuna autorizzazione. «Una cortesia fatta a un collega», ha raccontato lui. Un gesto di amicizia che gli è costato il posto di lavoro: il licenziamento era scattato già dopo la sentenza di primo grado.
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